«Ogni giorno per nove anni Fernando Oreste Nannetti (1927 – 1994) incide parole sulle facciate del cortile dell’ospedale psichiatrico di Volterra, dove è internato». Così inizia la presentazione della drammaturgia elaborata da Gustavo Giacosa e Fausto Ferraiuolo «Nannetti Colonnello Astrale» sulle parole che il recluso incise con la punta della fibbia del gilet sul muro del manicomio. Giacosa e Ferraiuolo non sono i soli ad aver lavorato su questo testo: nel 2011 la Collection d’Art Brut di Losanna ha pubblicato un catalogo a cura di Lucienne Peiry, l’allora direttrice del museo fondato da Jean Dubuffet. C’erano tutti i 70 metri (per 1,20 di altezza del muro) incisi da Nannetti con i suoi arcaici e appuntiti caratteri. Un «libro di pietra» che racconta di contatti con mondi interstellari e che accompagna le cartoline (mai spedite) che Fernando Oreste scriveva alla famiglia con accenti di straziante quotidianità.

DA MOLTO TEMPO Giacosa si dedica con comprensione profonda al rapporto tra arte e follia, collaborando con dipartimenti di salute mentale in Francia, come il Centre Hospitalier les Murets, Queue-en-Brie (Parigi est), dove a settembre si è svolta la prima edizione del festival Trace(s) # 1. Art + Altérité + Ailleurs che approda ora in Italia con (quasi) lo stesso titolo: Tracce #. Arte + Alterità + Altrove, da oggi a sabato 12, e vede la collaborazione del Dipartimento di salute mentale U.O.C. D8 della Asl Roma 2 e del municipio Roma VIII, insieme alla Galleria Sic 12 che ospita la collezione di Art Brut della coppia di artisti, attori, collezionisti Giacosa-Ferraiuolo. Attualmente in galleria è allestita la mostra Parole in cammino.

Foto di Paola Mattioli, 1973

IN LUOGHI DEPUTATI lungo la via Ostiense, tra il centro diurno san Paolo della U.O.C. D8 e la Galleria Sic 12, il programma del festival comprende, oltre alle mostre, spettacoli, documentari, conferenze e momenti di partecipazione spontanea e di interazione tra organizzatori, ospiti e pubblico. Sono previsti interventi di Parviz Denis, responsabile del IV settore dei Servizi psichiatrici Les Murets di Parigi, della ex direttrice della Collezione di Art Brut di Losanna Lucienne Peiry, di storici dell’arte (Ada De Pirro, Claudio Zambianchi), filosofi (Paolo D’Angelo), e poi quelli della psichiatra Ivana Bianco del Centro residenziale Franco Basaglia di Livorno e di Riccardo Bargellini, coordinatore artistico dell’Atelier Blu Cammello sempre di Livorno. Questi ultimi, ogni anno organizzano le «serate illuminate»; l’edizione del 2022, in cui ricorrono i 40 anni dalla legge 180 si intitolava Uscire a cavallo, ed era dedicata a Marco Cavallo, un destriero blu di cartapesta che rischia di essere annientato dall’ottusità oggi al potere (il sindaco di Muggia, che lo ha in custodia, vuole «sbarazzarsene»). Era il 1973, e all’ospedale psichiatrico di Trieste, un gruppo di operatori, degenti e artisti di vario tipo entrarono in un padiglione dismesso, misero in opera azioni sceniche coordinate da Giuliano Scabia e lavorarono fianco a fianco per costruire una sorta di azzurro alter ego collettivo, Marco Cavallo, che teneva nella pancia, in biglietti e messaggi scritti, i desideri di tutte e tutti loro.

UN RESOCONTO STRAORDINARIO di questa vicenda, e della mostra Insieme ad essa strettamente collegata, come quella del Collettivo artistico Arcobaleno coordinato da Ugo Guarino, si poteva leggere in un saggio di Marisa Dalai Emiliani del 1973, non a caso riproposto in una delle giornate. E per chi non si è rassegnato a vedere il declino della psichiatria basagliana, per chi ha letto con indignazione (anche su questo giornale) del pericolo che incombe su Marco Cavallo, questo Festival può essere una boccata d’ossigeno. Lo è di sicuro il vedere ripreso in mano un tema così cruciale per la nostra umanità. Tutta, dal momento che «visto da vicino nessuno è normale».