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Lunga e felice vita della forma breve

Lunga e felice vita della forma breveHelen Frankenthaler, «Flirt», 1995

Generi letterari Da Joy Williams, a Lucia Berlin, a Chris Offutt, fino al record di visualizzazioni di «Cat Person» scritto da Kristen Roupenian e acquistato a un’asta milionaria, il racconto è in gran forma

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 14 gennaio 2018

Lo scorso 11 dicembre, il New Yorker ha ospitato un racconto di una ventina di pagine che ha battuto ogni record di visualizzazioni, suscitando un dibattito sui media che ha raggiunto anche l’Italia. «Cat Person» – questo il titolo – è la storia di Margot, una ragazza ventenne che studia in un college e lavora al bar di una sala cinematografica, e di Robert, un uomo di trentaquattro anni che vive solo con due gatti – o almeno così sostiene: i due gatti non si vedranno mai, e Margot finirà per chiedersi se esistano davvero – e con il quale, dopo un lungo corteggiamento a colpi di sms, la protagonista vivrà una nottata di pessimo sesso.
Sul racconto e sulla sua autrice, Kristen Roupenian, si è discusso e si continua a discutere: c’è chi si sofferma sull’esattezza sociologica con la quale viene rappresentato il sesso tra i cosiddetti millennials, in un contesto nel quale le relazioni vengono spesso edificate su base virtuale per poi dissolversi al primo incontro; chi ha preferito focalizzare lo sguardo sulla totale mancanza di indulgenza con cui la protagonista si autorappresenta, mettendo in scena il proprio asservimento alle aspettative maschili che la induce a consumare un rapporto anche dopo essersi resa conto di quanto sarà deludente; chi, infine, ha cercato di sottrarsi alla trappola di una lettura in chiave di costume, sottolineando l’indubbia efficacia della costruzione drammaturgica e l’asciuttezza di uno stile nel quale manca qualunque forma di compiacimento e tutto appare funzionale alla definizione dei personaggi e alle dinamiche dei loro rapporti.

Da decenni mai simili investimenti
Quale che sia la chiave di lettura da privilegiare, un dato di fatto è fuori discussione: a pochi giorni dalla pubblicazione del racconto, intorno al nome di questa scrittrice trentaquattrenne, un curriculum di studi dedicati alla letteratura postcoloniale e alla narrativa africana contemporanea, si è scatenata un’autentica asta editoriale. La raccolta di racconti che includerà «Cat Person», e che dovrebbe intitolarsi You Know You Want This, è stata acquistata da Simon & Schuster, insieme ai diritti di un romanzo ancora interamente da scrivere, a una cifra superiore al milione di dollari. E aste altrettanto accese si sono scatenate in Europa, dal Regno Unito alla Germania all’Italia, dove i diritti di traduzione sono stati acquisiti da Einaudi Stile libero.
Se non c’è dubbio che dietro un interesse così forte da parte dell’editoria ci sia il dibattito che infuria intorno a «Cat Person», e nel quale le valutazioni sulla forma narrativa e la qualità della scrittura raramente sono in primo piano, rimane il fatto che da decenni non capitava di assistere a investimenti tanto ingenti su una raccolta di racconti, negli Stati Uniti e ancor più da noi. In questo senso, la traiettoria di Einaudi Stile libero rappresenta un esempio così limpido da non poter essere considerato casuale.

Nata in formato tascabile – e dunque con evidenti limiti anche di foliazione – all’interno di una casa editrice dotata di una fortissima identità di catalogo, la collana ideata da Paolo Repetti e Severino Cesari aveva saputo fare del racconto, in forma individuale come antologica, un punto di snodo fondamentale all’interno di un progetto di ricerca attento alle nuove sensibilità letterarie e all’evoluzione delle forme narrative. Accanto al caso tutto italiano di Gioventù cannibale (l’antologia che ha tenuto a battesimo una nuova generazione di scrittori, da Ammaniti a Nove) il lavoro di scouting si era concentrato sulla narrativa americana, con il lancio di maestri come il David Foster Wallace della Ragazza dai capelli strani e di Brevi interviste con uomini schifosi o il George Saunders di Pastoralia, ma anche di nuove, potentissime voci come Nathan Englander (Per alleviare insopportabili impulsi) o Adam Haslett (Il principio del dolore).

ol trascorrere degli anni, tuttavia – e anche con l’evolversi della collana, sempre più assimilabile a un vero micro-sistema editoriale, il lavoro sul racconto si era sostanzialmente smarrito, con l’eccezione di alcune antologie che, come Crimini, facevano il punto sulla nuova narrativa crime, italiana come internazionale, e Stile libero aveva finito per condividere con pressoché tutti gli editori maggiori quelle riserve in termini di vendibilità che avevano trasformato le raccolte di narrativa breve in titoli «minori», da evitare o sui quali investire il minimo indispensabile.

Basta scorrere i cataloghi di Mondadori, Einaudi, Rizzoli, Adelphi, Guanda, Bompiani o Feltrinelli per accorgersi di quanto poco spazio essi riservino ai racconti. Le eccezioni si contano sulla punta delle dita: Tobias Wolff e Donald Antrim per Einaudi (quella di Raymond Carver è stata un’acquisizione tardiva, e risalente a una fase nella quale la fama italiana dell’autore era già consolidata), John Cheever per Feltrinelli, Jumpa Lahiri per Guanda, e pochi altri.

Paley e Porter riproposti nel 2018
La carenza è tanto più grave nel caso della narrativa americana, che dell’alternanza sistematica tra racconto e romanzo, spesso all’interno della produzione di uno stesso autore, ha fatto una sorta di marchio di fabbrica. E questo da ben prima che il proliferare delle scuole di scrittura creativa (come pure è stato sostenuto da molti e non sempre in modo corretto) facesse del racconto una sorta di palestra per nuovi autori, che sulla misura breve potevano affinare, correggere o addirittura impostare una voce e uno stile. Il grande racconto americano esiste in realtà dall’Ottocento e coincide in larga parte con la nascita di una letteratura nazionale, se è vero che nel torno di pochi anni, a metà secolo, vennero sfornati capolavori come «Wakefield» di Hawthorne, «Il crollo della casa degli Usher» di Poe o «Bartleby lo scrivano» di Melville.
Altrettanto si può affermare per il Novecento, inaugurato da capolavori della narrativa breve come Tre vite di Gertrude Stein, Winesburg, Ohio di Sherwood Anderson e Nel nostro tempo di Ernest Hemingway.

La lista potrebbe procedere all’infinito, passando per autentici maestri del racconto come Cheever, Flannery O’ Connor, Bernard Malamud. O per due prodigi al femminile come Grace Paley e Katherine Anne Porter, la cui opera completa sarà riproposta, durante il 2018, rispettivamente da Sur e da Bompiani. Per arrivare fino a un’altra, formidabile narratrice che nella forma breve ha dato il meglio di sé: quella Joy Williams di cui le Edizioni Black Coffee hanno da poco pubblicato la colossale raccolta L’ospite d’onore.

Nuove frontiere editoriali
È presto per stabilire se l’attenzione rivolta a Kristen Roupenian potrà rappresentare un passo concreto verso il rilancio del racconto come «genere nobile», anche tra gli editori di maggiori dimensioni e diffusione. Se così fosse, si potrà affermare che, ancora una volta, sarà stata l’editoria di minori dimensioni – e spesso di maggior coraggio – ad aprire la strada. Di Black Coffee si è detto: ma l’elenco sarebbe incompleto se non includesse la Minimum Fax di Carver, Saunders e (più di recente) Offutt; la Fandango di Brodkey; la Bollati Boringhieri che, con La donna che scriveva racconti di Lucia Berlin, ha saputo creare un vero caso letterario.

Oppure, buona ultima, la casa editrice Racconti, interamente dedicata alla promozione di un genere troppo trascurato, la cui forza iconica e compressa, in un’era nella quale il romanzo soffre la concorrenza di quelle gigantesche e sofisticate macchine narrative che sono le serie Tv, rischia di trasformarsi nell’ultima, possibile frontiera per una scrittura che voglia sperimentare e percorrere nuove strade.

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