Il primo tavolo di crisi al nuovo ministero delle Imprese e made in Italy – che ha sostituito lo Sviluppo economico – finisce malissimo. Rottura completa fra Acciaierie d’Italia e i sindacati che scongelano lo sciopero già previsto per lunedì 21. Sarà di 4 ore in tutti gli stabilimenti del gruppo ex Ilva per Fim, Fiom e Uilm, mentre l’Usb raddoppia con otto ore.

Il neo ministro Adolfo Urso, coadiuvato dalla dirimpettaia del Lavoro Marina Calderone, ha potuto ben poco. L’azienda ancora controllata in maggioranza da Arcelor Mittal e dalla amministratrice delegata Lucia Morselli non ha fatto alcuna marcia indietro sul blocco delle ditte in appalto e sulle prospettive di ripresa della produzione. Il balbettante presidente di nomina governativa Franco Bernabè conta come il due di picche finché il governo non rispetterà i patti e arriverà alla maggioranza del capitale.

Nel comunicato unitario di Fim, Fiom e Uilm si parla di «situazione drammatica» esi spiega lo sciopero «per poter fermare l’eutanasia del gruppo e per poter ricontrattare tutto». L’ex Ilva «torni nelle mani pubbliche» e l’azienda «revochi immediatamente» la sospensione dei contratti delle 145 aziende dell’appalto ferme.

«L’azienda – attacca il segretario generale Fiom Michele De Palma – non ha avuto neanche il coraggio di presentarsi al tavolo, a confrontarsi e a negoziare con il governo e con i sindacati. L’ex Ilva deve tornare in mani pubbliche e trattare con i sindacati per il rilancio del lavoro, la tutela dell’occupazione, le condizioni di salute sicurezza e l’ambientalizzazione».

I lavoratori «sono stremati e disperati. L’ex Ilva ha i giorni contati, lo Stato prenda atto di questa situazione e agisca urgentemente», avverte Rocco Palombella, segretario generale Uilm, specificando che «il governo deve fare un atto di coraggio e trovare il modo di nazionalizzare o diventare socio di maggioranza. Solo così si può salvare la produzione di acciaio italiana. Costi quel che costi».

I sindacati chiedono «al governo di lavorare per il riequilibrio del rapporto tra Stato, Invitalia, Arcelor Mittal. «Ci vuole del tempo, – sottolinea il segretario generale Fim-Cisl, Roberto Benaglia – ma questa è la direzione che va presa». Anche il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, suggerisce al ministro di «condizionare l’eventuale versamento del miliardo che il governo Draghi ha messo a disposizione ad un contributo in conto capitale, aumentando la quota azionaria in capo al governo italiano» e riducendo il ruolo dell’azienda, perché Arcelor Mittal è «il partner più inaffidabile che si possa immaginare per lo Stato italiano».

Il ministro Urso non ha potuto fare altro che prendere tempo sulla possibilità che lo Stato anticipi l’aumento al 60% della quota in Acciaierie d’Italia, attualmente previsto al 2024. «Non possiamo decidere tutto in pochi giorni – ha risposto Urso – Sono tanti gli interventi e di varia natura, alla fine con Palazzo Chigi decideremo la strada da percorrere per salvare questo sito produttivo».