Il capannone si erge nella zona industriale di Los Angeles, vicino al canale cementificato noto come «LA River», a sua volta costeggiato dai binari del Southern Pacific. Sulla strada fiocamente illuminata si alternano autorimesse, rottamatori e Tir parcheggiati in attesa di rilevare carichi dai magazzini. Davanti a una imponente struttura di 6000 mq, c’è un però anche un gran viavai di auto e suv, file di Über che scaricano passeggeri ben vestiti. La folla si accalca davanti a una biglietteria e poi procede, attraverso la struttura gonfiabile che somiglia a un porcospino sgargiantemente colorato, per entrare a Luna Luna.

IL «PORCOSPINO» è un’opera di André Heller e anche Luna Luna, il lunapark creato da alcuni dei più celebri autori contemporanei, è frutto dell’immaginazione dell’artista-attore-imprenditore circense austriaco. A metà degli anni Ottanta, è stata sua l’idea di commissionare a quindici artisti opere per una fiera di giochi senza precedenti. Per anni Heller ha intrapreso un lavoro certosino di convincimento e visite presso gli studi di Jean-Michel Basquiat, Keith Haring, David Hockney e una dozzina di altri artisti, all’epoca fra i più affermati, chiedendo loro di contribuire con un’attrazione per il suo magico parco giochi.
Nel 1987, Luna Luna si inaugurava su 20000 mq in un parco di Amburgo dove per diverse settimane rimase un’attrazione visitata da centinaia di migliaia di persone che poterono godersi turni sui seggiolini volanti decorati da Kenny Scharf e sulla giostra di Haring, la ruota panoramica di Basquiat e il labirinto di specchi progettato da Roy Lichtenstein, il cui effetto era moltiplicato dalle musiche di Philip Glass. Salvador Dalì aveva contribuito con una cupola geodesica il cui interno era ugualmente rivestito di specchi creando un effetto del tutto disorientante, mentre Hockney aveva realizzato un grande cilindro al cui interno rivelava una foresta resa con la sua caratteristica sensibilità cromatica.
Heller era riuscito nel suo improbabile intento commissionando, spiegò all’epoca, opere d’arte 500 volte più grandi del solito per parcelle 500 minori di quelle cui erano abituati gli artisti (all’assemblaggio definitivo dei progetti, a Vienna, avrebbero contribuito 200 artigiani).

Il labirinto degli specchi di Roy Lichtenstein

DOPO L’ESORDIO in Germania, il progetto prevedeva una tournée americana ed era stata concordata una prima tappa in California, a San Diego. Ma problemi logistici – e soprattutto di soldi – fecero sì che opere e l’attrezzatura si arenassero a metà strada, in Texas. Per 37 anni, i materiali del magico circo artistico sono rimasti dimenticati, chiusi in 44 container in un deposito lungo la strada statale a Nocona, minuscola località sul Fiume Rosso, intitolata a un capo Comanche e nota soprattutto per la locale fabbrica di stivali.
Riscoperta e acquistata dalla fondazione che nel frattempo ne era entrata in possesso, la collezione è stata portata in California da Drake, il rapper canadese, con l’accordo che le opere venissero restaurate e mostrate in pubblico. Da mesi in città sono girate voci del tesoro artistico riscoperto in container sigillati che era in via di restauro in una location non meglio precisata. Ora la mostra è finalmente aperta.

Il porcospino gonfiabile di André Heller

PASSATO IL PORCOSPINO GONFIABILE si accede a una saletta dove è proiettato un video dell’originale istallazione di Amburgo. Immagini di avventori e famiglie con bambini eccitati sulle giostre e arrampicati sulle sculture colorate sono montate con interviste a Heller e ad alcuni degli artisti. Haring spiega come la giocosità sia la cifra naturale della sua opera, Basquiat racconta delle visite d’infanzia a Coney Island, nella sua Brooklyn.

Sonia Delaunay, decorazione dell’arco di entrata del Lunapark

DOPO L’INTRODUZIONE propedeutica, si accede allo spazio espositivo attraverso una sorta di grande arco decorato da Sonia Delaunay. All’interno appare il magico mondo di Luna Luna riportato al suo originale splendore: davanti alla giostra di Haring, affiancata da un suo lungo pannello e una scultura graffitata, una giocoliera fa volare i suoi birilli mentre un trampoliere applaude. Poco oltre, la giostra volante decorata da Scharf è affiancata da un filare di sculture pop dell’artista che negli anni Ottanta con Haring ha condiviso un appartamento di Manhattan.
Non vi è un vero e proprio percorso da compiere, le opere sono istallate in ordine sparso nell’enorme spazio aperto, ritrovando una specie di originale parco cittadino e permettendo agli spettatori di girovagare, come in una sagra (se le sagre di paese avessero manifesti di Joseph Beuys e stampe di Roland Topor). In un angolo è allestita una sezione «curatoriale» che sui muri ripercorre la storia dei parchi di divertimento e contestualizza, in modo lievemente arbitrario, lo sviluppo dell’arte contemporanea con enfasi sugli aspetti performativi ed esperienziali dalle avanguardie, dal Novecento in poi.
Le giostre, come gli altri attrezzi, non sono funzionanti perché, spiega una nota all’entrata, le opere non sono lontanamente a norma di sicurezza contemporanee (senza contare il loro valore aggiunto come opere d’arte – non accertato ma di sicuro ben superiore a un semplice modernariato da parco di divertimenti). Le uniche attrazioni operative sono le istallazioni di Dalì, Liechtenstein e Hockney, spazi immersivi in cui si entra come fossero labirinti.
Più che di una riattivazione vera e propria del progetto originale, si tratta insomma di un’operazione «archeologica» di riassemblaggio dei reperti ritrovati. Attraverso di essi, si offre anche uno sguardo illuminante sul momento artistico di un’epoca fondamentale per lo sviluppo della creatività contemporanea. In particolare la «scena» incentrata su New York ma con importanti propaggini anche in Italia e Germania, che vide il costituirsi di una massa critica all’incrocio fra arte «alta» e street art, una convergenza di hip hop, pop, graffiti e boom economico reaganiano. Incroci che ingenerarono da un lato un grande fermento creativo e, dall’altro, il mercato inflazionato del collezionismo «aristocratico» e di status symbol.

Ruota panoramica di Basquiat

MOLTI DEGLI ARTISTI rappresentati provenivano dall’ambiente che esisteva fra i poli delle grandi gallerie di Soho (Castelli, Gagosian, Deitch), dei locali di una Tribeca emergente dove bazzicavano Warhol o Schnabel e dell’avanguardia povera e giovane dell’East Village, dove stava il Pop Shop, la boutique di Haring e dove Basquiat e Scharf  allestivano mostre nelle gallerie/negozio come Fun Gallery, Gracie Mansion e Mudd Club. Quel mondo fra punk, rap e Wall street– e il dramma dell’Aids – con le colonne sonore di John Lurie, Klaus Nomi e del Cbgb (ma anche Limelight e Danceteria) che è stato in retrospettiva, fondativo per il modo moderno di fare, concepire e consumare arte.
Per queste ragioni Luna Luna è non solo un parco di divertimento concettuale ma un parco a tema e una macchina del tempo in cui si mescolano arte, divertimento, memoria e nostalgia.