“L’umanità ha la più immensa collezione d’arte privata: gli esseri viventi”. Voce forte su sfondo di silenzio. Alessandro Bergonzoni, Museo Aristaios, Auditorium Parco della Musica, Roma. Titolo: Tutela dei beni: Corpi del (c)reato ad arte (il valore di un’opera, in persona). Venti minuti. Un soliloquio tra teche, in un luogo del passato. Che ci parla di un presente dimenticato, perché il futuro non se lo scordi. Di spalle al pubblico. Davanti una fotografia che piano s’illumina di morte. L’ha detto in mille spettacoli. Siamo vecchi, come il cucco, siamo Cucchi, siamo Cucchi! L’immagine è quella del ragazzo martoriato quando doveva essere preservato. Come le opere a cui teniamo tanto.

UN GRANDE TRADUTTORE, Daniele Petruccioli, scrisse che bisogna trattare una poesia come un essere vivente, perché gli esseri viventi vanno trattati come una poesia. Ma certi esseri viventi, morenti tra quattro mura, non sono trattati come poesie. E lo ricorda Bergonzoni: parliamo sempre di capolavori, ma non “capolavoriamo”. Mai. Lo Stato accarezza le sue opere museificate ma non i suoi reclusi, i suoi tradotti. Ed è proprio in traduzione, nella traslazione ovvero da un carcere all’altro di chi non è ancora salma, che avvengono, ci dice Bergonzoni, i peggiori strazi. Nel silenzio buio di camionette anonime. Veicoli di Stato. “Tradurrò la tua vita in morte”, avverte il clown Touchstone in Così vi piace, commedia di Shakespeare. Non ci piace. Traduciamoci in vita, lo corregge in tragedia il bardo Bergonzoni.