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L’ultimo show di Jon Stewart

L’ultimo show di Jon Stewart

Televisione Dopo quasi diciassette anni il celebre anchorman americano, voce tagliente contro le incongruenze e le bugie della politica, si congeda dal grande pubblico

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 8 agosto 2015

Così tanti che alcuni di loro sono stati lasciati a casa perché non c’era spazio sul palco, le risposte compresse in sound bites di 30 e 60 secondi, disperatamente protesi a destra e grottescamente coiffati per competere con il miliardario/reality star Donald Trump – che non arriverà mai alla Casa bianca ma che al momento spopola con i media- i candidati repubblicani alle presidenziali del 2016 hanno avuto giovedì sera il loro primo dibattito. Su Fox News.

Subito dopo, su Comedy Central, era il lungo addio di un conduttore televisivo che ha passato gli ultimi sedici anni a satirizzare con ferocia spettacoli da circo come quello che si era appena tenuto sulla rete di Murdoch, insieme alle ipocrisie di un establishment politico (di destra e sinistra) e di uno mediatico spesso a braccetto nel loro totale scollamento rispetto alla realtà che ci circonda.

Jon Stewart non se ne era ancora nemmeno andato via e già sentivamo la sua mancanza, nella micidiale maratona che separa quest’estate dall’elezione di un nuovo presidente Usa, il novembre dell’anno prossimo. Indecision 2000. Così Stewart, approdato solo l’anno prima al Tg satirico di Comedy Central, The Daily Show, aveva battezzato i giorni di fuoco che hanno seguito lo scontro alle urne tra Al Gore e George W. Bush. Ancora alla ricerca di un modo con cui personalizzare il suo programma, in quel colpo di stato alla luce del sole, avvenuto con il beneplacito delle maggiori redazioni tg, Stewart avrebbe trovato la voce critica con la quale, da allora fino a giovedì notte, ha rivoluzionato l’informazione politica di questo paese. Quel misto di chiarezza, indignazione e ridicolo con cui, come un tonico, sera dopo sera, ci ha guidati attraverso Indecision 2004 (anno in cui Rolling Stone gli dedicò una copertina dal titolo: l’uomo più fidato del giornalismo) e le «indecisioni» che l’anno seguita, le guerre in Afghanistan e Iraq, più varie calamità sociali e naturali che si sono abbattute sugli States.

Maestro dell’assurdo, che faceva scaturire, come una bolla, dal tempismo perfetto dei silenzi con cui commentava le incongruenze più clamorose del processo politico, l’ultima bugia di un senatore, o di un collega giornalista, Stewart si è costruito, con il passare del tempo, un personaggio meno cinico e aggressivo di quello creato per esempio dal suo ex collaboratore e discepolo Steven Colbert. Il suo riferimento, l’immaginario punto di fuga in cui confluiscono nozioni fondamentali di decenza umana e buon senso. Per quello, anche nei momenti più bui (tra quelli recenti, l’esordio catastrofico del piano sanitario di Obama e la decisione di non incriminare i poliziotti che hanno ucciso Eric Gardner, a Staten Island), dopo aver guardato Stewart, raramente si andava a letto completamente privi di speranza. Il potere, anche quello più ridicolo e corrotto, era una cosa a cui si potevano contrapporre l’impegno civico, l’intelligenza. Anche quando era furioso, Stewart esigeva delle risposte.

Animata di «principio» è stata anche la sua ultima puntata dedicata non a degli ospiti importanti o a una galleria di greatest hits, ma ai suoi collaboratori di tutti questi anni. Ammiccando alle elezioni che non ci racconterà più dallo studio blu e rosso del Daily Show, Stewart ha esordito con un (finto) collegamento da Cleveland dove i suoi inviati più fedeli –uno per candidato, quindi tantissimi- avevano seguito il dibattito repubblicano….In una serie di clips, l’addio «senza rimpianti» di alcuni dei maggiori bersagli delle sue ire – i senatori Lindsay Graham e John McCain, Hilary Clinton… E con un interminabile piano sequenza Stewart ci ha fatto visitare la redazione che stava per lasciare. Aria di sbaraccamento – e tutti (specialmente lui) commossi sul serio. Unica concessione al rituale dell’ospite star l’amico Bruce Springsteen. «Questa è una richiesta che viene direttamente da lui», ha detto Springsteen prima di affidare la chiusura della serata alle note di Land of Hope and Dreams. Un paese in cui il superdisincantato Jon Stewart crede sul serio.

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