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L’ultima strage: in 29 muoiono di freddo

L’ultima strage: in 29 muoiono di freddoLampedusa – Reuters

Immigrati Soccorsi ritardati dalle condizioni proibitive del mare. Boldrini: «Ecco cosa significa la fine di Mare nostrum», L’Unhcr: «Triton non basta»

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 10 febbraio 2015

Sono morti di freddo. Stremati dopo aver atteso per ore i soccorsi distesi su un barcone in mezzo al mare in burrasca, con le onde alte otto metri che hanno ritardato l’arrivo delle motovedette della Capitaneria di porto spedite in loro aiuto. A perdere la vita in questa ennesima strage di migranti questa volta sono stati in 29, tutti uomini. I loro corpi sono stati sbarcati ieri sera sul molo Favaloro di Lampedusa, l’isola siciliana che in queste ore vive l’incubo di aver fatto un salto indietro nel tempo. «Sono sconvolto, non mi abituerò mai a queste tragedie» diceva ieri sera Pietro Bartolo, direttore sanitario dell’isola. Che punta il dito sulla decisione del governo Renzi di mettere fine a Mare nostrum, la missione della Marina militare che in 14 mesi ha salvato 170 mila persone tra uomini, donne e bambini. «Questi profughi potevano essere salvati – prosegue il medico – sarebbe bastato che li andassero a prendere con le navi militari e non con i gommoni o con le motovedette in mare aperto con questo gelo e con questo maltempo».

Era solo questione di tempo. Lo sapevano tutti che prima o poi il Mediterraneo sarebbe tornato a far strage di migranti. La cancellazione di Mare nostrum e l’avvio della missione europea Triton ha cambiato il modo di intervenire in soccorso dei migranti. Non più al largo, come facevano le navi della Marina militare che si spingevano fin davanti alle coste libiche riuscendo così a intervenire in tempi rapidi, ma molto più indietro, non oltre le 30 miglia marine, linea lungo la quale, finché dura, opera Triton. Una decisione sciagurata, tale da rendere ancora più pericolosi i viaggi di chi fugge dalle guerre.

La prova si è avuta proprio con questa ultima tragedia. Il barcone con i 105 migranti a bordo parte domenica dalla Libia. Il suo però, è un viaggio breve. Poco dopo aver salpato, l’imbarcazione ha un’avaria e con un telefono satellitare viene lanciato l’SOS. In quel momento l’imbarazione si trova al largo delle acque libiche, 140 miglia da Lampedusa. La richiesta di soccorso arriva nel primo pomeriggio di domenica al Centro nazionale di soccorso della Guardia costiera a Roma che dopo aver individuato la posizione della barcone attraverso il satellitare, dirotta due mercantili verso i migranti e invia due motovedette da Lampedusa.

Le condizioni del mare rendono però i soccorsi estremamente difficili. «Stiamo operando in condizioni proibitive», spiegano alla Guardia costiera dove gli equipaggi delle motovedette devono fare i conti con onde alte come un palazzo di tre piani. Alle 22 di domenica le motovedette riescono comunque a raggiungere il barcone e ad avviare il trasbrodo dei migranti, quattro dei quali sono morti per il freddo e altri quindici versano in condizioni gravissime. L’arrivo a Lampedusa, previsto per ieri mattina, avviene invece solo nel tardo pomeriggio.

Silenzio su quanto accaduto sia dal Viminale, dove il ministro Alfano è stato il vero protagonista della fine di Mare nostrum, che da palazzo Chigi. Ma sono in molti a criticare la scelta di sostituire la Marina militare con la missione europea. «Orrore al largo di Lampedusa. Persone morte non in un naufragio, ma per il freddo. Queste le conseguenze del dopo #MareNostrum», scrive in un tweet la presidente della Camera Laura Boldrini. «I mezzi messi in campo da Triton non sono sufficienti», accusa invece Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr. «Da più di un anno continuiamo a dire le stesse cose – prosegue Sami -: abbiamo una proposta molto chiara su ciò che è necessario, prima fra tutti mantenere altissimo il livello di salvataggio in mare in tutto il Mediterraneo». Anche Sel e Save the Children chiedono di potenziare i salvataggi in mare, mentre parole dure contro Triton arrivano dal vescovo di Agrigento, monsignor Francesco Montenegro: «Un’operaione europea che si limiti a salvaguardare i confini credo che non otterrà grandi risultati – dice -. Dovremmo metterci tutti in ossequioso silenzio e pensare che questi erano uomini come noi e sono morti in una maniera indegna per un essere umano».

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