In occasione della Giornata mondiale dell’acqua 2022, Wwf Italia ha pubblicato un nuovo rapporto, «L’ultima goccia», che affronta il tema del prosciugamento climatico. Il documento, che è stato curato da Mariagrazia Midulla e Andrea Agapito Ludovici, ha l’obiettivo di offrire elementi per «rafforzare l’azione per l’abbattimento delle emissioni e dare il via a serie politiche di adattamento e di buona gestione delle risorse idriche per scongiurare impatti insostenibili».

L’analisi muove da dati globali – si stima che circa 4 miliardi di persone su 7,8 miliardi sperimentino già una grave carenza d’acqua per almeno un mese all’anno; tra 1970 e il 2019, il 7% di tutti gli eventi catastrofici nel mondo sono stati legati alla siccità, ma hanno contribuito a ben il 34% delle morti legate ai disastri – per poi guardare in faccia il contesto italiano. Abbiamo negli occhi le immagini (tragiche) del fiume Po in secca a marzo, un evento estremo – dopo l’ennesimo inverno siccitoso in Pianura e avaro di precipitazioni sull’arco alpino – che non può che interrogarci: l’allarme per l’eccezionale dislivello stagionale delle acque del Po non è altro che un ulteriore indicatore di una situazione sempre più critica.

L’aspetto più preoccupante è il periodo: «Affacciarsi all’estate in condizioni di intensa siccità, soprattutto nelle aree di pianura è particolarmente preoccupante visto che il bacino del Po è generalmente interessato, almeno per larghe porzioni, da precipitazioni molto contenute nella stagione estiva» scrivono Midulla e Agapito Ludovici.

L’emergenza è specchio di un problema ormai strutturale, però, che porta a un decremento medio significativo del volume annuale d’acqua che defluisce a mare dai nostri principali fiumi (Po, Adige, Arno, Tevere): il patrimonio idrico del nostro Paese è a rischio. Infatti rispetto al valore medio del periodo 1971-2000 per alcuni di questi corsi d’acqua si registra, tra il 2001 e il 2019, una riduzione dei volumi defluiti a mare pari del 15% per il Tevere e di oltre l’11% per il Po.

L’acqua che non arriva a mare è, in parte, quella utilizzata: in Italia il settore agricolo assorbe il 60% dell’intera domanda di acqua del Paese, seguito dal settore industriale ed energetico con il 25% mentre gli usi civili sono fermi al 15%. È tempo, probabilmente, di considerare anche un’altra agricoltura e un altro allevamento, meno «acqua intensive» e che salvaguardi la risorsa: l’Ispra ha trovato pesticidi nel 77,3% dei siti di monitoraggio della qualità dell’acque e anche nel 32,2% di quelle sotterranee.