L’ultima furbizia dei big tech: cloud on the rocks
Effetto server Facebook ha scelto di costruire il nuovo data center nella città svedese di Luleå
Effetto server Facebook ha scelto di costruire il nuovo data center nella città svedese di Luleå
La scelta di Facebook di costruire il suo nuovo data-center nella città costiera di Luleå, nell’estremo nord della Svezia, non è azzardata. Lontana dai centri economici e amministrativi del paese e diversa dallo scenario tipico della Silicon Valley, la fredda regione di Norrbotten offre alla compagnia di Mark Zuckerberg uno scenario perfetto per combinare risparmio, fiscalità agevolata e sostenibilità, parola chiave anche per i giganti della tecnologia. In funzione dal 2014 e completato solo quest’anno, il centro di archiviazione, elaborazione e distribuzione di dati e servizi ospita le centinaia di server per gli oltre 420 milioni di utenti Facebook europei e che insieme reggono il cloud del social media statunitense.
Secondo Facebook, il centro dati di Luleå è tra i più sostenibili ed efficienti mai costruiti: la media giornaliera di tre gradi agisce da refrigerante naturale per i centomila metri di acciaio e cemento del primo progetto per data-center di Facebook al di fuori degli Stati Uniti, a cui poi si sono aggiunti impianti in Danimarca e Irlanda.
L’aria gelida subartica, pompata all’interno dello stabile, rimpiazza quella surriscaldata dei server, permettendo a Facebook sia di dimezzare i costi necessari a climatizzare gli ambienti, sia a diminuire le emissioni di gas serra. L’omonimo fiume che scorre nella città di Luleå e sfocia nel golfo di Botnia, fornisce invece alla compagnia di Zuckerberg energia idroelettrica a basso costo.
Ma nonostante le più grandi aziende di cloud si stiano impegnando a ridurre le loro emissioni di carbonio, gli sforzi sono insufficienti. Con la crescente adozione di servizi cloud, un’economia sempre più digitalizzata e l’enorme potenza di calcolo richiesta dai programmi di intelligenza artificiale e di apprendimento automatico, l’impronta ambientale dei big tech è destinata a crescere.
Le emissioni di carbonio delle infrastrutture tecnologiche e dei servizi cloud oggi superano quelle dei viaggi aerei pre-Covid. E il consumo annuale di elettricità di soli cinque gruppi tecnologici, Amazon, Google, Microsoft, Facebook e Apple, raggiunge circa i 45 terawatt l’ora, pari a quello dell’intera Nuova Zelanda. Secondo Greenpeace, Microsoft ha emesso circa 16 milioni di tonnellate di gas serra l’anno scorso, Google 1,5 milioni e Amazon, il più grande fornitore di servizi cloud al mondo, ben 44 milioni di tonnellate. Le stime indicano che le emissioni legate alla produzione tecnologica e alla digitalizzazione aumentino del 6 percento l’anno.
Per soddisfare la pressione pubblica, i giganti della Silicon Valley hanno abbracciato sostenibilità e ambientalismo. Google ha promesso che nel 2030 alimenterà tutti i suoi data-center e campus con fonti più pulite, come l’energia idroelettrica, eolica e solare. Microsoft ha promesso di essere “carbon negative” entro il 2030, estraendo dall’atmosfera più anidride carbonica di quanta ne emetta.
Amazon mira invece a raggiungere la neutralità carbonica, o “net-zero” entro il 2040, investendo in veicoli elettrici e comprando crediti per compensare le emissioni rimanenti. Eppure, anche l’impegno di raggiungere una neutralità carbonica pone diversi problemi, soprattutto se si basa sull’acquisto di crediti di energia rinnovabile (REC), che non riducono la quantità di emissioni che le stesse compagnie producono, né hanno un effetto diretto sul cambiamento climatico, spiega, Greenpeace.
Sono inoltre note le ipocrisie legate alla sostenibilità dei grandi gruppi tecnologici. Non è chiaro, ad esempio, come Amazon pianifichi di ridurre in due decenni la sua enorme impronta carbonica, senza contare l’immenso utilizzo di elettricità che ciò comporterebbe. Google non è da meno: mentre ha promesso di eliminare l’uso di combustibili fossili, insieme a Amazon continua a offrire servizi informatici e di intelligenza artificiale a compagnie petrolifere come Total, Shell e Chevron. ù
Facebook ha dichiarato di aver raggiunto i suoi obiettivi di emissioni zero, ma non senza sollevare dubbi etici riguardo gli enormi impianti costruiti in mezzo alla natura. Se da un lato e auspicabile un taglio netto delle emissioni e un approccio sostenibile anche per i data-centre, dall’altro ciò dà il via a una vera e propria corsa a energie rinnovabili e al monopolio di climi freddi.
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