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A Qunu l’ultima danza per Mandela

A Qunu l’ultima danza per MandelaIl corteo verso il cimitero di Qunu – Reuters

Sudafrica Ai funerali di Madiba familiari, compagni di lotta e capi di stato ricordano la sua figura e il suo «lungo cammino verso la libertà». Poi la sepoltura con il sole a picco, secondo il rituale xhosa, lontano dalle telecamere. Da oggi inizia la Rainbow Nation inizia una nuova storia

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 16 dicembre 2013
Rita PlanteraQUNU (EASTERN CAPE)

«Mai e poi mai dovrà accadere che questa splendida terra conosca di nuovo l’oppressione dell’uomo sull’uomo e patisca l’indegnità di essere la vergogna del mondo». Con questo imperativo rivolto alle coscienze e agli occhi di grandi e piccini, Nelson Mandela se ne ha andato lasciando alla sua gente, di ogni colore e razza, la responsabilità e la forza di non interrompere mai il cammino che con lui ebbe inizio.

Nelson Mandela è stato sepolto ieri mattina nella sua Qunu – qualche strada di terra battuta con poche centinaia di case sparse tra le colline dell’Eastern Cape – come vuole la tradizione xhosa intorno alle 12:40, quando cioè il sole è al suo punto più alto nel cielo. Aveva messo fine al regime dell’apartheid e aperto un’era di libertà e di riconciliazione nel suo Sudafrica ferito a morte nella dignità più intima. Con lui se ne va il lato buono e umano della politica.

Un altro Sudafrica comincia da oggi, mentre un’era è finita non solo per la Rainbow Nation ma probabilmente per il mondo intero. Il liberatore delle due coscienze riposa ora nelle viscere della sua terra che lo vide prima bambino e poi da giovane adulto partire alla ricerca della via maestra verso la riconciliazione e la speranza. Con lui, la voce della dignità nera che salvò la coscienza dei bianchi combattendo «contro la dominazione bianca e contro la dominazione nera», il XX secolo chiude la sua storia e saluta il suo ultimo negoziatore di pace e il primo presidente nero e fondatore del Sudafrica libero.

Un silenzio di quiete in un’aria ferma nel nitore di una luce travolgente. Si è svegliata così all’alba di ieri mattina Qunu, in lutto e preparandosi ad accompagnare il suo re verso l’ultima dipartita. La osserviamo dall’alto della collina, mentre a valle la televisione di stato e i colossi delle lobby mediatiche si dividono le immagini e il resto della stampa invece lavora da quassù.

Dopo la veglia funebre nella sua casa durata tutta la notte tra sabato e domenica, con i famigliari e i leader tradizionali che hanno cantato gli anni della sua vita, la mattina presto il feretro di Madiba ha lasciato quelle pareti che non lo rivedranno più su un affusto di cannone per essere beatificato in terra nella lunga cerimonia dei funerali di stato.

Su un piedistallo al centro di un grande tendone bianco, poggiato su un tappeto di pelli bovine e alla luce di 95 candele davanti al suo ritratto – una per ogni anno della sua vita – è stato ancora celebrato e salutato in un misto di ufficialità e spirito famigliare.

A dargli l’addio finale c’erano la moglie Graça Machel, la compagna di una vita e di lotta Winnie Madikizela-Mandela, esponenti e veterani dell’African national congress (Anc), il presidente sudafricano Zuma, il presidente del Malawi Joyce Banda, l’ex Presidente dello Zambia Kenneth Kaunda, gli amici Ahmed Kathrada – anche lui a Robben Island, per 26 anni – e Desmond Tutu.

La celebrazione è iniziata con un girotondo di alcuni degli ospiti tra cui anche membri dell’Anc che hanno gioiosamente cantato e danzato in suo onore ancora una volta e nello spirito proprio della cultura africana.

Dopo l’inno nazionale Nkosi Sikelel’I Africa (Dio benedica l’Africa) segue una serie di lunghi tributi.

«Ci mancherai, ci mancherà la tua voce severa quando non eri contento del nostro comportamento. Ci mancherà la tua risata», lo saluta il nipote Ndaba.

Mentre un emozionato Kathrada si rivolge a lui come al mentore, al capo e al «fratello maggiore».

Davanti a un Thabo Mbeki in lacrime quando il presidente della Tanzania Jakaya Kikwete ricorda aneddoti sui leader di Anc in esilio a Dar-es-Salaam.

«Non vogliamo confrontarci con la realtà della tua mortalità» ha detto Zuma. «Grazie. Grazie per essere stato tutto ciò di cui avevamo bisogno e volevamo in un leader durante un periodo difficile della nostra vita, grazie per la costruzione di un Sudafrica libero. Continueremo a lavorare sodo per ridurre la disoccupazione e la disuguaglianza, creare posti di lavoro dignitosi e un servizio pubblico responsabile Ci impegniamo oggi stesso per costruire un Sud Africa che appartenga veramente a tutti. Hai perdonato coloro che avevano portato via la maggior parte della tua vita adulta e che avevano disumanizzato la maggioranza dei tuoi compatrioti. Abbiamo imparato da te che per costruire un nuovo Sudafrica dalle ceneri del colonialismo dell’apartheid, abbiamo bisogno di superare la rabbia e il desiderio umano di vendetta».

Tra i circa 4,500 ospiti, c’erano anche il principe Carlo e il principe Alberto di Monaco oltre a Oprah Winfrey, Jesse Jackson e Richard Branson.

Al termine della cerimonia, un altro corteo a piedi tra le strade di campagna ha accompagnato la bara verso il cimitero di famiglia. Le ultime riprese della tv di stato si chiudono sugli elicotteri militari con la bandiera a mezz’asta capovolta passare nel cielo sopra il feretro di Mandela mentre viene calato in profondità. Il rito funebre di tradizione xhosa è dopo continuato in forma privata alla presenza della famiglia e di 450 ammessi.

Un sole di sabbia ci aveva accolto alla fine del tragitto verso Umtata, a 32 chilometri da Qunu, il paesino di poche anime, quattro capre e due cani. La stessa luce che al tramonto aveva chiuso il cielo sopra Johannesburg la sera prima mentre partivamo per l’Eastern Cape. Lungo la strada una distesa continua ci colline lunghe e deserte, perse tra il verde che si rincorre in uno zig zag disordinato con pochi tetti, quelli tipici delle costruzioni sudafricane. Un viaggio verso questa parte del Sudafrica che sa di magico. Madiba è cresciuto da queste parti e in questa terra è ritornato da figlio e da re. Tra la sua gente, quella che si è sentita ai margini in tutti i 10 giorni di commemorazione a partire dal 5 dicembre scorso, quando la lunga notte è calato sui suoi occhi e su ogni granello di terra della Rainbow Nation.

Tra parate militari e politiche, onori e glorie ufficiali, la sua gente ha vissuto da spettatrice anche l’ultimino cammino di un leader che ha rifondato un Paese e tolto le briglie alle menti di milioni di persone, bianchi, neri, indiani, coloured, cittadini separati in casa prima di lui.

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