Visioni

Luigi Tenco, storie che soffiano nel vento

Luigi Tenco, storie che soffiano nel vento

Libri I misteri intorno alla vita e alla morte del cantautore raccontati da Federico Molteni

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 24 luglio 2015

La storia non si fa con i «se», notoriamente. A meno che non siate cultori di quel ramo della fantascienza che parte proprio dal presupposto «what if», «cosa sarebbe successo se». Dunque neppure la storia musicale si fa con i se. Eppure è capitato che uno spiraglio su un futuro a venire destinato a non esistere mai, nella realtà, qualche grande ce l’abbia lasciato. Sappiamo che Jimi Hendrix sarebbe approdato a una forma di jazz rock senza più confini. Sappiamo che Fabrizio De André avrebbe lavorato a un «requiem», dopo Anime Salve. E sappiamo anche che strada avrebbe preso un altro grande, al cui funerale Faber fu uno dei pochi colleghi presenti: Luigi Tenco. Sappiamo, ad esempio, che quelle maledette, tese giornate che precedettero l’arrivo e la morte nella Città dei fiori per cantare nella più grande vetrina «leggera» d’Italia, quando apparire in televisione faceva vendere milioni di dischi furono una scelta obbligata, necessitata.

In un’intervista del 25 gennaio di quel tragico ’67 al quotidiano ligure Il Secolo XIX Tenco dichiarava: «Non mi sono mosso, è il Festival che mi ha voluto». E, poco più avanti, quasi un presagio agghiacciante: «magari non ci fossi mai venuto». Invece ci andò, ma in testa, e qui torniamo al «se», aveva ben chiaro che direzione avrebbe preso la sua musica e i suoi dischi. Tenco aveva già pronta la scaletta del suo nuovo disco, meditata e rimeditata: ci sarebbero state le sue canzoni, compresa Ciao Amore, ciao portata a Sanremo, ma con un testo assai più «vero». Ma anche Monte Canino, struggente ballata sulla prima guerra mondiale, La pastora, Ta Pum, di nuovo in tema di Grande guerra vista dal basso, Bella Ciao, e Merica Merica, una delle più potenti canzoni mai scritte sulle migrazione italiana oltreoceano. Mettete assieme i due aspetti, canzoni proprie, «d’autore», e canzoni scelte una ad una dal grande serbatoio delle note popolari, e avrete qualcosa di modernissimo: quell’essere in bilico tra musica «popular» e folk vero e proprio che ha fatto grande, ad esempio, gente come Bob Dylan o Tom Waits o Pete Seeger. Luigi Tenco c’era arrivato da solo, forte di letture voraci e sterminate, e di ascolti fatti con curiosità e l’umiltà di chi sente di dover ancora assorbire molto mondo, prima di restituirlo in arte propria.

Questa storia la racconta, con prosa limpida ed appassionante, il giornalista e critico musicale Federico Molteni in L’ultimo giorno di Luigi Tenco (Giunti). Certo, la pruderie infinita della storia di quella morte continua a figliare legioni di cronisti del complotto, quando invece fu, probabilmente, un gioco amaro e sconsiderato finito male, e conclusosi anche peggio, tragicamente, con la sceneggiata del corpo di quel bellissimo ragazzo riportato in fretta e furia nella stanza 219 dell’Hotel Savoy, con una pistola tra le gambe , e priva di caricatore. Nessuno sentì quel colpo nell’hotel, notoriamente, anche se qualcuno ci provò a dire di averlo sentito. E tanti altri, racconta Molteni, sostengono tutt’ora di aver visto e rivisto il filmato dell’esibizione tesa e sfocata di Ciao amore, ciao al Festival, quando, notoriamente, non esiste la registrazione di quell’esibizione televisiva, restano solo delle fotografie. Fa tutto parte del gioco. Ma allora, perché tornare, ancora una volta, sul mistero dell’ultimo giorno di Luigi Tenco? Perché, sostiene Molteni, rimettere al posto giusto tutti i pezzi del puzzle, significa evitare il complottismo, e mettere in lucele vere, pesanti ambiguità che circondano come una ragnatela quel «non suicidio».

Che furono molte, moltissime, e per ognuna c’è una disamina asciutta finale di Molteni. Ad esempio che Tenco possedeva due pistole, non una. Nessuna delle due fu quella che fece partire il colpo. E una di queste era nel cruscotto della sua auto. Che non guidò lui a Sanremo, ma nella quale probabilmente morì, su una strada sterrata, in quella mezzora di «buio» di notizie sulla quale è rimasto un alone di non detto, e che si può ricostruire solo congetturalmente. Ed ancora:chi era veramente l’ambiguo commissario di polizia Arrigo Molinari di Sanremo che ebbe a che fare a caldo con il caso Tenco, amico dei terroristi antigollisti dell’Oas, morto ammazzato nel 2005?

Probabilmente, suggerisce Molteni, una persona facilmente ricattabile dai potenti clan marsigliesi con i quali intratteneva stretti rapporti Luciem Morisse, ex marito e accompagnatore di Dalida a Sanremo, benché, notoriamente, in quel momento la bella francese avesse una relazione proprio con Luigi Tenco. Relazione di interesse? Forse, o forse no. Ma allora, la misteriosa Valeria, la donna-ombra di Tenco apparsa a sorpresa vent’anni dopo la morte di Tenco, cui il bel Luigi affidò, per lettera, ansie e delusioni di quel mondo in cui era costretto a comparire, e per di più a fianco di una donna bella ma definita gretta, superficiale, gelida? Davvero, dopo questo libro, le risposte finali, per dirla con il Dylan amato da Tenco, soffiano nel vento.

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