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Luigi Serafini, del leggendario, magico Codex

Luigi Serafini, del leggendario, magico CodexDal «Codex»

Libri La fantaenciclopedia dell'architetto e design, edita per la prima volta nel 1981, verrà presentata a Bookcity, Milano

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 19 novembre 2022

Il Codex Seraphinianus è una fantaenciclopedia illustrata che reinterpreta in chiave visionaria materie quali zoologia, botanica, mineralogia, anatomia, architettura. Forse. Il dubitativo è necessario dal momento che gli oggetti e le creature rappresentati nel volume sono illustrati con disegni fantastici e commentati in una lingua indecifrabile, quindi di quel che effettivamente si tratta nel libro non è possibile dire con certezza.

Eppure il testo, pubblicato la prima volta nel 1981 da Franco Maria Ricci, è tornato otto volte alle stampe, l’ultima nel 2016 per Rizzoli e nel tempo, pur nella sua anomalia, inafferrabilità e in fondo poco accessibilità (non è un libro tascabile, né per prezzo né per dimensioni) e senza supporto promozionale affiora carsicamente in ambiti inaspettati, per lo stupore dello stesso autore.

Artefice del Codice cui ha dato il suo nome è Luigi Serafini, artista, architetto e designer. Ultimo caso di apparizione anomala delle figure del libro è quello dei tatuaggi: Serafini ha scoperto su Instagram che i suoi disegni stranianti sono diventati tattoo piuttosto ricercati, un mistero come ciò sia accaduto. Chi per primo avrà visto il pesce Occhiata e avrà deciso di stamparselo addosso? O la sequenza di accoppiamento giudizioso tra un uomo e una donna che dà vita a un coccodrillo? Le gambe innestate sull’ombrello, il pollo col capo e senza coda?

Eppure si muovono, le illustrazioni di Serafini che le ha trovate persino a tappezzare le pareti di un caffè progressive rock di Kiev, il Divan (il Codex ha avuto una edizione ucraina per i tipi della casa editrice bilingue Laurus di Paulina Lavrova) e dentro i lavori video di Sofia Crespo, performer argentina interessata alle tecnologie ispirate alla biologia. L’artista, ospite con Serafini all’ultima edizione del festival Cinematica di Ancona ideato da Simona Lisi, studia la vita organica in parallelo alle tecniche di formazione dell’immagine di intelligenza artificiale, i processi creativi elaborati dagli algoritmi alla base di piattaforme come Dream, e nei suoi lavori di video arte presentati alla Mole Vanvitelliana fioriscono come pattern neurali i segni vegetali del Codex.

Somigliano alle creature di Wonderland, questi fiori fantastici, alieni e familiari, dalle parti del surrealismo, ma miniati con dedizione manualistica e furia catalogatoria.

Un libro vicino a un manuale di magia e che ha ammaliato, oltre a Federico Fellini, anche Francois Mitterand, grande bibliofilo, che è andato a comprarselo preceduto da guardie del corpo, alla libreria parigina che Franco Maria Ricci aveva aperto a Rue des Beaux-Arts, nel quartiere Saint-Germain-des- Près, proprio davanti all’hotel d’Alsace, dove morì Oscar Wilde e dove soggiornava Borges.

«Questo libro» dice Serafini «è un figlio ribelle che saltando di nicchia in nicchia ha percorso il mondo alla ventura.» Se ne sono invaghiti Italo Calvino, che ne ha scritto la prefazione, e Giorgio Manganelli, entusiasta recensore di altra opera fantasmagorica dell’artista, la Pulcinellopedia, sinfonia per immagini dedicata alla maschera napoletana. Quel Pulcinella amico e collega di Pinocchio, altra creatura cara a Manganelli e altro esemplare di umanità aumentata, figlio artificiale di padre single come i rabberciati Frankenstein e Edward Mani di Forbice. Non è un caso che un illustre fan del Codice e delle sue trovate sia Tim Burton, che ha conosciuto il libro per il tramite di Danny Elfman compositore delle colonne sonore dei suoi film da Beetlejuice a Big Fish e che nel 98 ha realizzato le musiche di una mostra a Milano delle tavole di Serafini. E un’eco delle figure del Codex Seraphinianus si percepisce infatti nelle macchine della Fabbrica di Cioccolato.

La tecnologia fantastica avvicina i marchingegni illustrati nel Codice anche alle Macchine di Munari che ha inventato e disegnato strumenti per prevedere l’aurora, mortificare le zanzare, suonare il piffero quando non si è in casa; tutte soluzioni davvero vicine come spirito a quelle di Serafini. Tecnologie, o fanta tecnologie, avanzate al servizio di finalità ludiche, come in Età ellenistica (si vedano i trattati di Erone di Alessandria sugli specchi e sugli automi) destinate a divertire e stupire.

Incanto è sicuramente la cifra stilistica e il movente di Serafini, che racconta la genesi dell’idea del Codice nella campagna marchigiana, nella casa dei suoi nonni, a Pedaso, meta di vacanze d’infanzia cui ha dedicato un erbario fantastico e il ritratto della Quercus Pedasina; e poi la sua realizzazione a Roma, a partire da una sera in cui per gioco e per non uscire di casa si è finto amanuense medievale ed è rimasto giorni a lavorare alle visioni al ritmo delle oscillazioni della coda del suo gatto «che probabilmente me le ha dettate» scrive nell’appendice all’edizione del 2013. «Il linguaggio è asemico» racconta Serafini «e silente, non ho immaginato un suono scrivendo. È una lingua sillabica con parole lunghe e brevi e a forza di scriverle tornano con una cadenza, si trova il ritmo. Le parole hanno maiuscole, corsive e possono ricordare arabo, senegalese ma anche telugu, la seconda lingua più parlata in India. Fa effetto vedere recensioni esotiche al libro scritte nella stessa grafia del Codex».

Il volume è soprattutto un libro sulle metamorfosi, forse per questo è riuscito a farsi largo nel flusso del tempo cangiante, fornendo gli elementi combinatori per molti esercizi di immaginazione, che sembra più urgente e necessaria in tempi dai contorni sfumati e spaventosi come quelli che corrono.

La robotica non è lontana ma neanche le sorprese di natura, le suggestioni da wunderkammer. Si fa largo nelle pagine illustrate un umanesimo tecnologico, che sarebbe caro a Bradbury dell’Uomo tatuato, scrittore che aveva nostalgia del futuro e che si definiva non ottimista ma ottimizzatore: si deve giocare con quel che c’è e questo fa Serafini, chiamando in ballo androidi ma anche molti animali: in fondo il Codex è un bestiario del Medioevo, quello degli unicorni che spopolano anche ora, la raccolta di scatti da uno zoo apocalittico in cui hanno lasciato aperte le gabbie, come nel 2035 dell’Esercito delle dodici scimmie di Terry Gilliam.

Oggi il progetto Codex viene presentato a Milano, nel calendario di BookCity, nel corso dell’evento «Codex Seraphinianus 41° anno. Tra alfabeti del mondo, tatuaggi and A.I.», a dialogare con Luigi Serafini ci sarà Andrea Cortellessa, alle ore 19 alla Sala Bertarelli del Castello Sforzesco.

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