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Luigi Nono, infiniti possibili

Luigi Nono, infiniti possibili

Doc Manuela Pellarin firma un ritratto suggestivo e rigoroso del compositore

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 16 novembre 2024

Nella sede del PCI della Giudecca, gli operai, lo chiamavano «Gigi». Conosceva e frequentava Emilio Vedova, era affascinato dai movimenti studenteschi e da quelli di liberazione dell’America Latina. Ma a fare un «rivoluzionario» del compositore veneziano Luigi Nono, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, non è stata la sua esperienza politica, quanto invece la sua incessante ricerca di un suono liberato da ogni istanza rappresentativa. Tra privato e politico Nono trova, nel ritmo della sperimentazione, il tentativo di collocarsi nella trasformazione del mondo.

Massimo Cacciari, amico e collaboratore del compositore, intervistato dalla regista Manuela Pellarin per il suo film Luigi Nono. Infiniti possibili spiega «Nono studia la grande avanguardia del ‘900, a partire da Schoenberg, ed è straordinariamente curioso di tutte le innovazioni di quel periodo. La sua è una continua ricerca sulla struttura del suono, sulle possibilità straordinarie che danno i nuovi strumenti elettronici e il computer». Presentato all’interno della VII edizione del Festival Luigi Nono, in corso a Venezia sino a fine novembre, nel film la regista fornisce un ritratto rigoroso e, al contempo, suggestivo del compositore.
Intervista musicisti ed allievi come Marco Angius, Stefano Bassanese, Giancarlo Schiaffini, Roberto Fabbriciani, Alvise Vidolin. Non si sottrae nemmeno al profilo privato. La moglie Nuria Schoenberg racconta un simpatico aneddoto. Quando Gigi la incontra per la prima volta, non le chiede nulla del padre. Vuole essere informato, invece, su cosa sta succedendo a Detroit. Perplessa, Nuria gli risponde che a Detroit fanno le auto. «Ma no, gli operai fanno lo sciopero» replica lui che aveva letto la notizia sulle pagine dell’Unità «Mi ha fatto impressione che un veneziano sapesse queste cose e mi sorprese che non mi chiedesse nulla di mio padre» spiega Nuria.

Lo sfondo sonoro del film è costituito dai suoni, tanto cari al compositore. Davide Commone, uno studente di composizione del Conservatorio Benedetto Marcello, col microfono, percorre le calli, i ponti e le piazze veneziane per registrare il suono dell’acqua della laguna, le voci dei mercati del pesce, lo stridio dei gabbiani, il rintocco delle campane e le voci soffuse all’interno delle chiese.

Il suono pianissimo, che Nono chiedeva ai suoi musicisti, è eseguito dal flebile suono del flauto basso di Sara Valle, diretta dal maestro Roberto Fabbriciani. Altrettanto importante, nella ricerca di Nono, la spazializzazione del suono, che dal ‘64 acquista un ruolo centrale. In La fabbrica illuminata crea una tavolozza sonora che si muove nello spazio mentre i microfoni captano le diverse risonanze. Infine i testi. Il compositore conta tra i suoi amici Scabia, Sanguineti, Cacciari. «Il testo diventa struttura- spiega Veniero Rizzardi- noi non percepiamo il suo significato ma il suo impatto emotivo». Sulla sua militanza politica Cacciari conclude «All’inizio era inquadrato ma poi diventa libero, antidogmatico». Continua tuttavia a schierarsi fino alla fine «senza alcuna confusione con l’avversario: ovvero questo mondo dove esistono sfruttamento, miseria, disuguaglianze».

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