Luigi Di Maio vuole riprendersi il M5S: «Ci serve un leader»
Martedì sera vertice dei big grillini al ministero della Giustizia Il ministro degli Esteri pronto a intestarsi la vittoria del Sì
Martedì sera vertice dei big grillini al ministero della Giustizia Il ministro degli Esteri pronto a intestarsi la vittoria del Sì
A duecento giorni dal clamoroso passo indietro da «capo politico» del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio torna a parlare di leadership. Lo fa dal forum Ambrosetti di Cernobbio, tracciando una relazione diretta tra il M5S e il governo. «Abbiamo bisogno di una leadership votata, legittimata e in grado di affrontare le sfide del governo della settima potenza mondiale», dice Di Maio. Il ministro degli Esteri non scioglie uno dei nodi che attanaglia i 5 Stelle da settimane, lasciando aperta la strada sia alla guida «corale» che a quella «unica». Cioè esplicitando il bivio che ancora ventiquattr’ore prima aveva creato scompiglio tra i parlamentari, quando si era diffusa la voce che sarebbe stata convocata una consultazione last minute sulla piattaforma Rousseau per decidere le forme della leadership. Avrebbe significato imprimere una netta direzione al percorso che il M5S dovrebbe seguire da qui agli Stati generali, che arriveranno dopo il voto del 20 e 21 settembre. Per qualcuno sarebbe un modo di sciogliere alcuni nodi prima dell’autunno caldo del governo, per altri una forzatura che ancora una volta consegnerebbe le scelte decisive alla creatura di Davide Casaleggio.
MARTEDÌ SERA lo stato maggiore del M5S si è radunato a largo Arenula, al ministero della Giustizia del capodelegazione grillino al governo Alfonso Bonafede. Non c’era Paola Taverna, assente giustificata, da qualche tempo favorevole alla scelta di una leadership collegiale per il M5S, e dunque i partecipanti al vertice erano tutti maschi. Oltre a Di Maio e all’ospite Bonafede, c’erano il sottosegretario Stefano Buffagni (che di recente non ha lesinato critiche alla scelta di ricorrere al voto ferragostano su Rousseau su doppio mandato e alleanze locali), l’attuale reggente Vito Crimi, l’uomo del M5S a palazzo Chigi Riccardo Fraccaro, il capogruppo alla camera Davide Crippa e il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli. Quello che trapela è che a questa riunione ne seguiranno altre. Perché se veramente il M5S dovesse scegliere di non scegliere, e dunque di affidarsi a un direttorio che tenti di garantirne l’unità e preservarne le differenze, bisognerebbe intraprendere un percorso e mettere mano allo Statuto.
SAREBBE UN PRECEDENTE significativo, oltre che una specie di Comma 22 grillino, visto che la carta che disciplina le regole fondamentali stabilisce anche i doveri degli eletti nei confronti della piattaforma gestita da Davide Casaleggio. Ma se qualcuno volesse cambiare queste norme dovrebbe passare proprio dal vaglio della ormai contestatissima (e mal tollerata da parte dei convenuti al vertice top secret di martedì) piattaforma Rousseau. E probabilmente bisognerebbe fare i conti con la variabile indipendente costituita da Di Battista, che non era alla riunione e che da giorni esterna poco, in attesa degli eventi, sempre più distante dai suoi ex colleghi al governo e soprattutto dalla campagna elettorale per le regionali.
SU QUEL FRONTE, invece, ieri si è visto il presidente della Camera Roberto Fico, in visita nella sua Napoli per incontrare la candidata del M5S alla presidenza della Campania Valeria Ciarambino. Interrogato sulle acque agitate tra i grillini, Fico minimizza: «Il M5S ha sempre avuto forti dibattiti interni e in questo momento siamo al governo del paese. Andiamo avanti tranquilli, sapendo che dobbiamo migliorare sempre, che dobbiamo costruire un paese nuovo». Di Maio usa altri toni e predilige il referendum alle regionali. Si muove dentro lo stesso contesto dei suoi colleghi, e si presenta loro come l’unico in grado di riportare ordine tra i grillini, ma gioca una sua partita. Immagina uno scenario in cui -all’indomani della consultazione referendaria e delle regionali -il M5S sarà più forte, intestandosi la maggioranza dei votanti per il Sì al taglio dei parlamentari, e la coalizione di governo un po’ più debole, fiaccata dai risultati non esaltanti delle amministrative. E allora la «leadership» che ieri ha invocato avrebbe più spazio di manovra nei confronti di Giuseppe Conte, la cui ombra solo fino a poco tempo fa si stagliava sul futuro prossimo del princip
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