Sono poche le persone che riescono a tenere assieme una cultura profonda, una capacità di analisi e il senso pratico dell’esercizio contrattuale ed organizzativo: Gigi Agostini era uno di questi.
La sua lunga e ricca militanza politica e sindacale lo testimonia: capacità di tenere assieme un forte ancoraggio ai valori più antichi e genuini della sinistra e del socialismo con la capacità di rielaborarli in rapporto alle trasformazioni sociali di cui era un attento osservatore.
In tutto il suo percorso politico Gigi è sempre stato un innovatore, a volte anche provocando reazioni e sfidando resistenze.
Le sue radici sono nel Montefeltro e lui, nato nel 1940 da una famiglia di contadini, in quel territorio assorbì le memorie ancora vive della resistenza e delle lotte mezzadri, e ad appena diciotto anni aderisce al Partito Comunista.

Fu Elmo Del Bianco, allora segretario della Cgil pesarese, che lo volle al sindacato. Erano gli anni del ‘68 e dell’autunno caldo e Gigi si trovò subito protagonista di una vicenda sindacale fervida, di forte rinnovamento e anche di contestazione. Riferendosi al sua rapporto con Del Bianco Agostini ebbe a dire che «quando tra un operaio e un intellettuale scocca una scintilla, quella è dinamite».
Ma lo scontro politico che si consumò in quegli anni portò Agostini a proseguire la sua esperienza sindacale in Veneto, prima a Treviso poi a quella regionale, gestendo fra l’altro la delicata vertenza dell’Elettrolux. Il suo percorso in Fiom proseguì nella segreteria nazionale e, come responsabile della siderurgia, gestì importanti vertenze, come quella di Bagnoli. Proprio questo Primo Maggio Gigi ci mando un video: «I compagni di Bagnoli, dopo 20 anni, condividono con me il ricordo della loro storia operaia. Per me è un grande onore».

Luciano Lama poi lo chiamò: «In Veneto c’è bisogno di dirigenti come te, di dirigenti di frontiera». Ma solo dopo tre anni Antonio Pizzinato, allora segretario generale della Cgil, lo propose per la segreteria nazionale e gli affidò l’organizzazione, dove introdusse importanti novità nella struttura, in particolare per quanto concerne la presenza sul territorio e la formazione.
Ma in quegli anni si consumò anche una spaccatura interna che portò alla sostituzione di Antonio Pizzinato con Bruno Trentin. «Uno dei periodi più tristi della mia vita: nelle guerre intestine ognuno dà il peggio di se», ebbe modo di scrivere.

Pochi mesi dopo la Bolognina e la caduta del muro di Berlino, fortemente laceranti. Al congresso di Pesaro dei Ds del 2001 Agostini fu fra i pochi dirigenti della Cgil che non seguirono Sergio Cofferati nel sostegno al Correntone, scelta che condivisi.
Nell’ultima fase della sua vita Agostini si dedicò molto alla riflessione sulla digitalizzazione dell’economia e della società e cercò di reinterpretare le nuove forme dello scontro di classe e come la sinistra politica avrebbe dovuto ripensarsi e dare vita ad un nuovo soggetto politico aggregatore attorno all’idea del Neo-socialismo.

L’ultima volta che ebbi modo di partecipare con lui ad un evento fu la presentazione del suo ultimo libro nel febbraio del 2019 a Pesaro: non condividevo l’idea di fondo che Gigi ci proponeva ma ero affascinato dalla sua capacità di elaborazione, nella volontà di ricercare strade nuove, che coniugassero Marx e Algoritmo, inteso come moderno «mezzo di produzione» da conquistare e controllare.

L’ho sentito per l’ultima volta qualche giorno fa. Le nostre comuni radici ci legavano molto. Era molto preoccupato per quello che sta succedendo nel mondo, nella sinistra, nel sindacato. Una critica amara ma che trasudava di affetto verso la Cgil che fino all’ultimo gli ha permesso di coltivare una speranza. La sua capacità critica, la voglia di rimettersi sempre in gioco interpretando le novità e i nuovi bisogni: è questa la ricca eredità che Gigi Agostini ci consegna e che dobbiamo custodire con cura.

* ex segretario confederale della Cgil
Oggi dalle 12 ultimo saluto a Luigi Agostini alla Cgil nazionale