L’Ue respinge le ritorsioni di Netanyahu, per ora
Colonie ebraiche Un portavoce di Bruxelles ha dichiarato ieri che la sospensione ordinata da Netanyahu della partecipazione dell'Unione al processo di pace per la questione dell'etichettatura dei prodotti degli insediamenti colonici, non terrà fuori l'Europa dal negoziato mediorientale
Colonie ebraiche Un portavoce di Bruxelles ha dichiarato ieri che la sospensione ordinata da Netanyahu della partecipazione dell'Unione al processo di pace per la questione dell'etichettatura dei prodotti degli insediamenti colonici, non terrà fuori l'Europa dal negoziato mediorientale
Con una mossa ben studiata, Benyamin Netanyahu è arrivato ieri al vertice sul clima a Parigi poche ore dopo aver ordinato la sospensione dei contatti diplomatici con le istituzioni Ue e il riesame del loro coinvolgimento nel negoziato con i palestinesi. E’ la risposta alla decisione di Bruxelles di dare avvio alle etichettature diverse dei prodotti degli insediamenti colonici ebraici nei Territori occupati di Cisgiordania, Gerusalemme Est e sulle Alture del Golan. Non sorprende che in terra francese, prima ancora di Obama, Merkel, Hollande e Cameron, il premier israeliano abbia deciso di incontrare, l’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione, Federica Mogherini. «I rapporti con Israele sono buoni, ampi e profondi», ha detto Mogherini cercando di allentare le tensioni. Poco dopo però l’Ue, attraverso un portavoce, ha fatto sapere che «Continuerà a lavorare nel quadro del processo di pace in Medio Oriente, nel Quartetto, con i suoi partner arabi, con entrambe le parti (israeliani e palestinesi,ndr), perchè la pace in Medio Oriente è un interesse della intera comunità internazionale e di tutti gli europei».
Le minacce di Netanyahu non spaventano l’Ue, accusata da Tel Aviv addirittura di antisemitismo. Bruxelles ha ribadito ad ogni occasione la sua posizione, ancorata alle risoluzioni dell’Onu. I territori di Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme Est e le Alture del Golan sono stati occupati militarmente (nel 1967) e non sono parte del territorio israeliano. Pertanto i prodotti delle colonie ebraiche costruite illegalmente nelle terre occupate non possono essere esportati verso l’Europa con l’etichetta “Made in Israel”. È un regola commerciale, in questo caso anche con un evidente contenuto politico ma pur sempre una regola commerciale alla quale Israele non può sottrarsi chiedendo all’Ue di riconoscere le colonie e di dimenticare l’occupazione.
Parte della stampa israeliana spiegava ieri che è cominciata la lunga battaglia di Netanyahu e del suo governo per ottenere la revoca della decisione della Commissione europea sulle etichettature. Una battaglia accompagnata dalla passo fatto dal ministero dell’istruzione israeliano che ha sconsigliato le gite delle scolaresche in Europa. Ufficialmente per il timore di attentati ma conoscendo l’approccio ultranazionalista del ministro dell’istruzione, Naftali Bennett, è lecito pensare che anche questa decisione rappresenti una ritorsione contro l’Ue. Secondo le disposizioni date da Netanyahu, che è ha anche l’interim degli esteri, gli europei si vedranno messi da parte nel campo dei diritti umani, delle organizzazioni internazionali e per i progetti di sviluppo nell’Area C della Cisgiordania, che 22 anni dopo la firma degli Accordi di Oslo, resta sotto controllo amministrativo e militare israeliano. In realtà il passo fatto da Netanyahu si rivelerà in buona parte simbolico, uno scontro di parole con l’Ue senza effetti concreti. D’altronde da quale processo di pace dovrebbe essere esclusa l’Europa dato che il negoziato israelo-palestinese è fermo da anni e non basterà a ridargli vita la stretta di mano di ieri a Parigi, a beneficio dei fotografi, tra Netanyahu e il presidente dell’Anp Abu Mazen. Persino un giornalista molto vicino a Netanyahu, Dan Margalit, del quotidiano filogovernativo “Israel Ha Yom”, ha scritto che il governo «ha perso la bussola».
Intanto l’Esercito, i servizi di sicurezza e lo stesso ministro della difesa Yaalon riconoscono che l’Intifada di Gerusalemme cominciata ad inizio ottobre non è stata domata e che sono probabili nuove fiammate della rivolta palestinese, che il governo definisce una “ondata di terrorismo”. Domenica sera un ragazzo palestinese di 17 anni, Ayman al Abbasi, è stato ucciso a Silwan (Gerusalemme est) in scontri con la polizia israeliana. A Hebron, dopo Al-Khalil Radio e Manbar al Hurriyya, i soldati hanno chiuso una terza emittente palestinese Dream Radio con l’accusa di istigazione contro Israele.
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