Europa

L’Ue è a due velocità anche per la Nutella

Euco L'est rifiuta le "cooperazioni differenziate". Ma Commissione e grandi stati vogliono andare avanti. Il testo per Roma su un'Europa "indivisa e indivisibile" pronto solo la prossima settimana. Polemica sulle differenze di qualità nei prodotti alimentari industriali

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 11 marzo 2017

L’Europa è a due velocità anche per la Nutella (e la salciccia slovacca, più grassa di quella austriaca o la salsa carbonara industriale che all’ovest ha tre formaggi e all’est nessuno ecc.). L’Europa a più velocità – che è già un dato di fatto (euro, Schengen, brevetti europei ecc.) e che ha un grande futuro di fronte a sé stando agli ultimi sviluppi – ha avvelenato le ore del Consiglio europeo di Bruxelles destinato a preparare una Dichiarazione congiunta dei 27 (senza la Gran Bretagna, Brexit oblige) sull’avvenire della Ue da presentare con grande pompa al summit di Roma di celebrazione dei 60 del Trattato fondatore il 25 marzo, che per il presidente del Consiglio Donald Tusk dovrebbe “rafforzare la fiducia reciproca”. La Polonia ha opposto un netto “no” all’ipotesi delle varie “cooperazioni differenziate” difese ormai da Commissione e grandi stati. Angela Merkel ha cercato di addolcire la pillola, ricorrendo al motto europeo “unità nella diversità”. Jean-Claude Juncker ha negato che si tratti di “una nuova cortina di ferro”, ma solo del fatto che “chi vuole fare di più possa fare di più”. Nel comunicato finale si parla di “Europa indivisa e indivisibile” ma che “agisce assieme quando è possibile” e va vanti “a ritmo diverso se necessario”. Il testo per Roma verrà finalizzato solo la prossima settimana.

La tensione è tale che i paesi del gruppo di Visegrad (Ungheria, Repubblica ceca, Ungheria, Polonia) non hanno trovato di meglio che dare battaglia sulla Nutella, giudicata più dolce e più scadente all’est che all’ovest: i 27 chiedono cosi’ alla Commissione di preoccuparsi dei “prodotti alimentari di qualità differenti” in vista di “un miglioramento della catena di approvvigionamento alimentare” per evitare che l’est si trasformi in una “pattumiera europea”, ha addirittura affermato un ministro ceco. Mentre Paolo Gentiloni ha sottolineato che le due velocità esistono anche sull’accoglienza dei rifugiati: “non ci piace l’Europa a due rigidità – ha detto – molto rigida sulle virgole del bilancio e molto tollerante sulle politiche di ricollocazione dei migranti”. Al Consiglio non sono mancate le critiche verso Ungheria e Slovacchia, per il rifiuto di accogliere i ricollocamenti (resta sotto traccia la minaccia di tagli ai fondi Ue). Il Consiglio si è limitato ieri a ribadire l’appoggio al piano di azione della Commissione sui “ritorni”. Sul diritto d’asilo un’eventuale decisione è rimandata al prossimo giugno. Grande prudenza anche sul capitolo dell’allargamento al vicinato, ai Balcani occidentali, dove incombe la minaccia di una crescente influenza russa.

C’è grande confusione nella Ue del dopo Brexit, in un clima molto conflittuale. Il giorno precedente, c’era stata la polemica polacca contro la rielezione del polacco Donald Tusk alla presidenza del Consiglio, con la minaccia del primo ministro, Beata Szydlo, di bloccare tutto a Bruxelles. Tusk è stato rieletto, Varsavia è rimasta sola a rimescolare i propri rancori di politica interna. François Hollande, che ha anch’egli forti preoccupazioni di politica interna per la minaccia del Fronte nazionale, ha insistito sull’ “unità europea e la solidarietà”, che “si impongono per evitare il rischio estremista”. Per Hollande, “se tutti vengono qui a cercare solo i propri interessi nazionali, questi saranno solo argomenti per i sovranisti, i nazionalisti, gli estremisti, che vogliono l’uscita dalla Ue e dalla zona euro”. Juncker cerca di calmare gli spiriti e tende la mano a Londra: sperando di “rivedere la Gran Bretagna risalire sullo stesso battello” dell’Unione. Ma per il momento, con l’hard Brexit che si profila, il braccio di ferro è concentrato sui soldi che Londra dovrebbe ripagare a Bruxelles (60 miliardi di euro e altri 2 miliardi per diritti di dogana non versati su prodotti cinesi).

 

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