Politica

Lucio Magri tra Dc e Pci, la politica «che cambia la vita»

Lucio Magri tra Dc e Pci, la politica «che cambia la vita»Lucio Magri negli anni Ottanta

Convegno all'Istituto Sturzo L'incontro con i "rossi" e i "bianchi" di Bergamo, il lungo dialogo nel dopoguerra con Bartolo Ciccardini. Un dibattito rivissuto nei ricordi dei protagonisti di quella stagione

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 24 ottobre 2013

Quattro ore di discussione, come ormai accade di rado, in un convegno presso la sede dell’Istituto Sturzo, copromotore dell’iniziativa insieme all’Associazione Magri, su un tema che poteva apparire demodé: «Il dialogo tra ‘bianchi’ e ‘rossi’ nell’Italia del dopoguerra». Lo spunto per il confronto – moderato da Beppe Sangiorgi, segretario generale dell’Istituto Sturzo – è venuto dal libro di Lucio Magri Alla ricerca di un altro comunismo, uscito dopo la sua scomparsa nel 2011. Nel corso di una lunga intervista l’autore parla degli anni della sua formazione culturale: Bergamo, l’assonanza con Giuseppe Dossetti, il movimento giovanile democristiano con l’ipotesi che ne potesse diventare il segretario nazionale ma poi subito bocciata da Amintore Fanfani che aveva buttato nel cestito perché troppo di sinistra il documento programmatico scritto dallo stesso Magri, poi l’iscrizione al Pci datata ’58 insieme a Giuseppe Chiarante, Carlo Leidi e altri intellettuali bergamaschi.
Tocca a Luciana Castellina, tra i fondatori del Manifesto come Magri, ricostruire gli anni del dopoguerra quando «i due mondi, quello cattolico e quello comunista, erano del tutto incomunicabili soprattutto dopo l’esito delle elezioni del 1948». Quelli – continua – furono anni difficilissimi: «I miei primi contatti da giovane militante comunista con esponenti cattolici furono all’università di Roma con Raniero La Valle, poi c’erano quelli con Bartolo Ciccardini».
Castellina cita l’incontro con il dossettiano Franco Maria Malfatti che si svolse nei pressi del Quirinale: «Non ci conoscevamo, una rosa in mano servì a riconoscerci. Fu lui a farmi per la prima volta il nome di Magri come persona con cui valeva la pena intessere il dialogo». Un altro stop al confronto avvenne nel 1953, anno dello scontro sulla «legge elettorale truffa». «Il Pci, come diceva Palmiro Togliatti, era una giraffa capace di guardare dall’alto i fenomeni politici e culturali, ma anche la Dc ci appariva come una sorta di giraffa. Capivamo che era molto diversa dalle altre destre europee», racconta Castellina che ricorda gli articoli di Magri su riviste come Per l’azione e Dibattito politico che lo avvicinarono insieme a Chiarante all’area culturale del Pci dove Franco Rodano svolgeva il ruolo di ponte nel dialogo con i cattolici.
Bartolo Ciccardini, amico fin dagli anni Cinquanta di Magri, parte nel suo intervento dall’impatto che ebbe su entrambi la lettura giovanile dei testi di Antonio Gramsci: «La nostra fu una generazione che ebbe come tema della sua vita il partito, il ‘principe’ gramsciano, lo strumento rivoluzionario per eccellenza. Eravamo indaffarati a tempo pieno per costruirlo, in una esperienza totalizzante amara e dolcissima. Io feci addirittura la mia tesi di laurea sul partito. Poi scoprii che la Dc non era un partito, bensì una federazione di movimenti». Ciccardini ricostruisce la vicenda dei giovani della sinistra democristiana degli anni Cinquanta e usa parole particolarmente affettuose verso Magri: «L’inveramento del comunismo sfociava per lui in una soluzione tanto personale quanto logica: diventare comunista».
Lidia Menapace, milizia democristiana e nella Resistenza prima di partecipare alla nascita del Manifesto, non trattiene l’emozione: «Questo tipo di iniziative sono le migliori occasioni per ricordare Magri, la persona più intelligente che io abbia conosciuto e che non aveva neppure bisogno di essere narcisista». Menapace, che l’anno prossimo compirà 90 anni, parte da lontano nella sua ricostruzione: «Nei primi anni Trenta le sole proteste contro il regime fascista erano quelle dei giovani universitari cattolici. Poi ricordo i primi anni quaranta a Novara, quando il Vaticano non sostituì un vescovo per non fargli giurare fedeltà al regime fascista. Poi ancora arriva la Resistenza: per me, che ne facevo parte, era naturale avere rapporti con i comunisti». L’ex senatrice chiude con una battuta: «Su una cosa comunisti e cattolici, pur così diversi, erano perfettamente d’accordo: la doppia morale quando si parlava di donne e dei loro problemi. Questo accordo continua ancora oggi».
Proprio a Bergamo, dopo gli anni Cinquanta, accadono altri fatti significativi: nel 1958 è eletto papa il bergamasco Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XIII; nel marzo del 1963 Palmiro Togliatti tiene nel capoluogo lombardo un importante discorso («Il destino dell’uomo») che rilancia il dialogo con il mondo cattolico: a introdurlo è Eliseo Milani, altra pietra miliare del Manifesto, segretario allora della Federazione del Pci, colui che consegnerà la prima tessera del partito a Magri e Chiarante; poche settimane dopo verrà diffusa l’enciclica Pacem in terris che favorisce l’ulteriore confronto tra cattolici e non cattolici. Questi eventi sono stati ricostruiti nella puntuale comunicazione di Lorenzo Pezzica, che sta scrivendo una biografia di Eliseo Milani di prossima uscita. Sul problema della Dc incapace di capire il Concilio interviene Raniero La Valle che ricorda le occasioni perdute nel confronto tra cattolici e comunisti proprio nella stagione conciliare.
Parla di «occasione mancata sulla pace» nel rapporto cattolici-comunisti Famiano Crucianelli: «Eravamo nel cuore della ‘guerra fredda’, sul filo di una possibile terza guerra mondiale. Il discorso di Togliatti a Bergamo apre un nuovo orizzonte perché, come ricordava Magri, supera una specie di indifferenza verso il mondo cattolico. La pace diventa bene supremo di tutte le correnti politiche». Crucianelli ricorda alcune date che fecero ripiombare nella guerra fredda: nel giugno 1963 muore Giovanni XXIII, nel novembre 1963 è assassinato John-Fitzgerald Kennedy, nell’agosto 1964 muore Togliatti, nell’ottobre dello stesso anno a Mosca è defenestrato Nikita Krusciov, il fautore della destalinizzazione.
Cosa resterà della formazione del giovane Magri nella sua successiva traiettoria politica? Le precoci letture degli autori della Scuola di Francoforte, di John Kenneth Galbraith, Jacques Maritain, Augusto Del Noce, Franco Rodano, György Lukacs, Lev Nikolàevic Tolstòj daranno al suo successivo accostamento al marxismo un sapore particolare: il rifiuto dell’economicismo in voga negli anni sessanta.
Per Magri, la politica è progetto, competizione di valori, aspirazione a nuovi modelli di organizzazione sociale. Amava ripetere «O la politica cambia perfino gli stili di vita e le coscienze, o fallisce il suo obiettivo. Non so che farmene di una diversa economia». Da qui pure la sua opposizione al «compromesso storico», che invece di lavorare al superamento e alla scomposizione dell’unità politica dei cattolici nella Dc finiva per consolidare proprio quell’unico contenitore.
Ecco perché Magri ha insegnato alle generazioni che hanno partecipato alla vita del Manifesto e del Pdup un’idea peculiare della politica: occorre avere un pensiero critico sulla fase storica che si vive e sulla memoria del passato. Quel suo libro Il sarto di Ulm resta, dal punto di vista del metodo e del contenuto, un lascito prezioso: è l’unico tentativo avuto finora di rileggere criticamente e senza abiure l’intera parabola della storia del comunismo internazionale e italiano.
A chiudere il convegno ci ha pensato Gerardo Bianco, ex segretario del Partito popolare dal 1995 al 1997, lunghissima milizia nella Dc, che ha citato i suoi stimolanti dialoghi con Magri che facevano da contrappunto ai molti punti politici di contrasto.

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