Lucio Fontana, dizionario «game» per una galassia in eterno movimento
Dalla A alla Z, per Quodlibet Immaginato da Enrico Crispolti e realizzato da L. P. Nicoletti, un ricco insieme di lemmi (305) che aderisce al continuo «scartare» sperimentale di Lucio Fontana
Dalla A alla Z, per Quodlibet Immaginato da Enrico Crispolti e realizzato da L. P. Nicoletti, un ricco insieme di lemmi (305) che aderisce al continuo «scartare» sperimentale di Lucio Fontana
Chissà come si sarebbe divertito Lucio Fontana a sfogliare questo Dizionario che racconta il suo mondo, o meglio, i suoi mondi in 305 lemmi. Ci sono voluti 68 studiosi per rendere possibile questa impresa, immaginata e voluta da Enrico Crispolti poco prima di morire e da lui affidata alla regia calibrata di Luca Pietro Nicoletti.
Era il gennaio 2017: Crispolti si era imbattuto nel Dictionaire Picasso di Pierre Daix e aveva lanciato la sfida di immaginare un’operazione analoga su un artista poliedrico e cruciale per il Novecento come Lucio Fontana, al quale il critico romano aveva dedicato tanti studi ed energie. Ci sono voluti sei anni per venire a capo dell’impresa, e ora quest’oggetto molto pratico è arrivato nelle mani di studiosi e appassionati, candidandosi a diventare strumento imprescindibile per orientarsi nei mondi di Fontana: Dizionario Lucio Fontana, a cura di Luca Pietro Nicoletti, in collaborazione con la Fondazione Lucio Fontana, Quodlibet, pp. 736, euro 34,00).
Scordiamoci di leggere questo volume ordinatamente dalla prima all’ultima pagina. Già dalla voce che apre il Dizionario, «Acrilico», ci si trova rimbalzati, per una inevitabile curiosità, ad altre voci correlate e consequenziali segnalate in coda a ogni testo. In questo caso Barbara Ferriani ci segnala come Fontana ricorra all’acrilico in alcune delle sue Attese ed esegua il taglio sulla tela «nel preciso momento in cui il colore inizia a seccarsi ma è ancora elastico e malleabile».
Tra i link indicati a fine voce si può approdare al lemma dedicato «Pittura», steso dal curatore del Dizionario: Fontana, fin lì scultore, era approdato alle tele dopo il rientro dall’Argentina nel 1947 andando subito all’attacco del diaframma che si trovava davanti. «Il primo atto dirompente di rottura, nella sua ricerca, arriva con l’invenzione dei Buchi: tele aggredite con un punteruolo dal fronte e dal retro», scrive Nicoletti. Dal lemma «Pittura» si può scegliere, fra le tante opzioni, di atterrare alla voce «Artificio», che si rivela un po’ una chiave di volta per entrare nell’opera di Fontana, maestro nella «restituzione di un immaginario che sovverte le abitudini visive»: Crispolti parlava di un «creazionismo inventivo inesausto».
La fascinazione per le grandi novità della scienza e della tecnologia agisce insieme alle lezioni di Balla, di Sant’Elia e del futurismo. Nel confronto tra Boccioni (la voce è di Ilaria Schiaffini) e Picasso, Fontana è tutto dalla parte del primo, considerato come precursore dello Spazialismo. In una lettera a Tullio d’Albisola del gennaio 1948 parla con ammirazione della mostra di Boccioni in corso a Milano e lo contrappone al «piattaio» Picasso. Nei confronti del quale mostra diffidenza, conoscendone l’abilità e la spregiudicatezza nel copiare le soluzioni altrui, quale ad esempio la sperimentazione con la ceramica. Tuttavia nel 1950, come si evince dal lemma steso da Duccio Nobili, accetta di scrivere la presentazione della mostra, proprio di lavori in ceramica, di Picasso alla Galleria del Naviglio di Carlo Cardazzo: nel testo parla di opere capaci di «trascendere la materia usata». Che è appunto la «ceramica», alla quale Luca Massimo Barbero dedica una voce molto completa.
Come si può evincere da questo assaggio di navigazione, il Dizionario è «un libro game», nel quale ci si muove come palline da flipper all’interno della grande galassia Fontana. A ogni passaggio si incamerano informazioni complete, precise, sintetiche; nello stesso tempo si è costretti a fare i conti con l’effetto stordente di un artista sempre in movimento, «intatto, tagliente, puro, impeccabile come un coltello in movimento» (Alain Jouffroy: la voce è di Valérie Da Costa). Con Fontana siamo continuamente sbalzati da una situazione all’altra, senza possibilità di delimitare i territori o di trovare il bandolo della sua inesausta visionarietà. In questo il Dizionario risulta un ritratto fedele dell’artista: trasparente nelle sue convinzioni e motivazioni, ma insieme inafferrabile.
Nell’organizzazione del volume le voci, disposte in ordine alfabetico, in numerosi punti finiscono con il formare delle aggregazioni: accade ad esempio nel caso di un lemma cruciale come «Ambiente», che si svolge non solo affrontando il delicato dibattito attorno alle installazioni nella gran parte pensate da Fontana come effimere, ma anche entrando nello specifico ad esempio dei «Materiali»: si resta colpiti dal ricorso alla cartapesta per la realizzazione della parte scultorea del celebre Ambiente spaziale a luce nera del 1949 alla Galleria del Naviglio: scienza e artigianalità, visionarietà e manualità, vanno sempre di pari passo nel cantiere dell’artista italo-argentino. Il Dizionario propone singole voci per i sette Ambienti spaziali realizzati da Fontana tra 1949 e 1968.
Restando alle aggregazioni dei lemmi è utilissima quella che propone la storia della critica su Fontana, suddivisa per stagioni cronologiche ma che s’addentra anche nella ricezione dell’artista in Francia e in Gran Bretagna con singole voci.
Il territorio dell’arte sacra, così assiduamente e laicamente frequentato da Fontana, è affrontato attraverso una voce madre, curata da Francesco Tedeschi, ma poi rispunta in numerose voci specifiche: interessante quella, stesa a quattro mani da Maria Villa e Niccolò D’Agati, che ricostruisce la vicenda del Concorso per la V Porta del Duomo di Milano. È una vicenda nota, ma nella versione sintetica del Dizionario si comprende la dimensione epocale di quella bocciatura. Fontana aveva lavorato con grande convinzione e anche disponibilità per una committenza che era sembrata invece da subito spaventata dal dover ammettere la superiore qualità della sua proposta. È una vicenda che si trascina per anni e che si sarebbe chiusa con la vittoria di Luciano Minguzzi. In sostanza la Chiesa si era trincerata dietro un conservatorismo senza prospettive buttando al vento un’occasione di rinnovamento straordinariamente significativa, data la strategicità della destinazione dell’opera.
Fontana comunque, pazientemente, aveva mantenuto relazioni con il mondo cattolico e, grazie all’amicizia con il gesuita Angelo Favero, nel 1956, a poche centinaia di metri dal Duomo, realizzava la meravigliosa pala in ceramica per la chiesa di San Fedele con l’Apparizione del Sacro Cuore a Santa Margherita Alacoque (la voce relativa è di Davide Colombo). È un’opera che mostra la grande naturalezza con cui l’artista affronta i soggetti sacri, caratterizzati da un grande ardore innovativo. Non c’è mai la minima ombra di confessionalismo nel suo approccio.
A questo proposito una possibile chiave di lettura è quella avanzata nel lemma «De Divina Proportione», a cura di Chiara Mari, relativo al Primo Congresso Internazionale sulla Proporzioni delle Arti che si era tenuto a Milano nel settembre 1951.
All’appuntamento, che aveva visto in prima fila Le Corbusier, Fontana si era presentato denunciando l’inattualità del tema. Per lui la prospettiva era legata a una visione ancora tutta orizzontale e materialistica, mentre l’uomo dell’era spaziale «crea una linea di sviluppo verticale», cioè puntata in direzione di un infinito. È una tensione non fine a se stessa ma che conduce l’artista a disegnare «una curva umanistica in contrasto con la visione del mondo esistenzialista e con il pensiero negativo contemporaneo», aveva scritto Jole De Sanna, docente di Brera e tra i più acuti interpreti di Fontana, alla quale è giustamente dedicata una voce, firmata da Nicoletti.
Nella navigazione del Dizionario capita che, con spirito pienamente fontaniano, tra le voci Birolli e Boccioni si inserisca quella dedicata a Blek, il cane dell’artista, il cui nome ricorre in almeno dieci di quelle iscrizioni che spesso apponeva sul retro dei suoi quadri. Come spiega Sileno Salvagnini, il nome del cane era ispirato al mitico personaggio di un fumetto che aveva avuto un grande successo tra 1954 e 1967, con punte di 400mila copie a settimana.
Un indizio del trasversalismo degli interessi di Fontana, della sua curiosità e anche del suo candore. In una delle iscrizioni il cane diventa depositario di una domanda di infantile innocenza: «Perché gli uomini si uccidono, Blek?».
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