Lucio Cortella, le tesi di Axel Honneth su un conflitto sociale moralmente giustificato
Filosofi italiani «L’"ethos" del riconoscimento», da Laterza
Filosofi italiani «L’"ethos" del riconoscimento», da Laterza
Tema tra i più presenti nella discussione contemporanea di filosofia politica e di teoria critica della società, il «riconoscimento» è stato rilanciato con indubbio successo da Axel Honneth, capofila della terza generazione della Scuola di Francoforte (successore di Adorno e di Habermas) con un volume intitolato proprio Lotta per il riconoscimento, uscito in Germania nel 1992 e in Italia dieci anni dopo. Nel dibattito sul tema, che è ancora ben vivo in Germania e in Francia (forse un po’ meno nella filosofia anglofona), interviene ora Lucio Cortella con un volume che svolge un ragionamento filosofico rigoroso, caratterizzato da un linguaggio chiarissimo che è indice di un lucido pensiero: L’«ethos» del riconoscimento (Laterza, pp.176, €18,00). Nel suo firmamento filosofico, gli astri attorno ai quali gira il ragionamento sono tre: Hegel, Honneth, Habermas.
Tutte le riflessioni sul riconoscimento traggono origine da un celeberrimo capitolo della Fenomenologia dello spirito, dedicato appunto alla lotta per il riconoscimento tra due autocoscienze, e al rapporto tra Signore e Servo che dalla lotta scaturisce. Il nocciolo dell’insegnamento hegeliano si può riassumere in due tesi principali, che Cortella ripercorre e illustra sapientemente. La prima: non c’è soggetto senza riconoscimento intersoggettivo, ovvero è la relazione che fonda i soggetti e non viceversa. Noi siamo quello che siamo in forza del tessuto relazionale di riconoscimento che ci lega agli altri. La seconda grande tesi hegeliana, da Cortella sempre molto valorizzata, è che il riconoscimento o è reciproco o non è. Nell’apologo hegeliano, il Signore pretende che il Servo lo riconosca senza a sua volta sentirsi in obbligo di riconoscere il Servo. Una pretesa vana, perché se non dai nessun valore all’altro, allora anche il riconoscimento che esigi dall’altro è privo di valore: devi riconoscere l’altro per essere a tua volta validamente riconosciuto.
Se è vero che la nostra soggettività, e quindi anche la nostra capacità di agire con libertà e responsabilità, si forma nelle relazioni di riconoscimento, è anche vero che bisogna andare più a fondo nell’analisi di queste relazioni, perché dal modo in cui esse si strutturano e funzionano (o non funzionano) dipende la formazione di una riuscita identità del Sé. Questo è appunto l’apporto di Axel Honneth. Nella concretezza della vita sociale i rapporti di riconoscimento, mostra Honneth, si articolano in diverse sfere, che nel loro insieme concorrono a formare una individualità confidente in sé e non patologica: la sfera intima dei rapporti di affetto, di amore e di amicizia; quella formalizzata del diritto, dove tutti siamo riconosciuti come soggetti autonomi cioè dotati di personalità giuridica; e quella della vita lavorativa, dove vogliamo essere riconosciuti e stimati per il contributo che siamo in grado di dare. In tutte queste sfere, aggiunge Honneth, possono darsi positivi rapporti di riconoscimento ma anche relazioni di misconoscimento, disprezzo, umiliazione (pensiamo al sessismo, alla negazione degli uguali diritti, al razzismo, allo sfruttamento del lavoro). Nella concreta vita sociale, perciò, il riconoscimento non è mai dato una volta per tutte, è sempre la posta in gioco di un conflitto. Ma qual è la ragione in forza della quale noi possiamo affermare che questi sono conflitti giusti, moralmente giustificati? In Honneth, osserva giustamente Cortella, questa domanda rimane senza risposta. Habermas fa invece un tentativo: è nell’interloquire come parlanti e dialoganti che non possiamo non riconoscerci come aventi tutti la stessa dignità e gli stessi diritti. Con un passaggio ulteriore, che chiude il cerchio del suo ragionamento, Cortella spiega come, per ritrovare Hegel, sia necessario andare anche oltre Habermas: l’autentica radice del rispetto dovuto a ciascun essere umano, che nelle lotte per il riconoscimento viene sempre di nuovo rivendicato, contrastando specifiche forme di misconoscimento o di umiliazione, non sta tanto nel nostro essere parlanti, ma nel nostro essere costitutivamente in relazione, nel nostro abitare un ethos originario (quello che appunto dà il titolo al libro). Un ethos che – come scrive Cortella – «sta alla base della nostra umanità»..
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