Visioni

«Lucio Amelio», inventare una Napoli del futuro

«Lucio Amelio», inventare una Napoli del futuroUna scena dal film «Lucio Amelio»

Cinema Il documentario di Michelangelo Gelormini dedicato all'artista e gallerista napoletano, figura fondamentale per la diffusione in città delle Avanguardie del secondo Novecento, la presentazione lunedì 4 dicembre al Mercadante e poi in onda su Rai5 e Raiplay

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 3 dicembre 2023

C’è stato un momento del secolo scorso in cui Napoli era come New York. Capitale dell’arte contemporanea, luogo di ritrovo di artisti internazionali che s’incrociavano nella stessa galleria, allo stesso party, a un tratto sembrò «che il muro che divideva l’Europa in due parti a Napoli fosse caduto con anni di anticipo». Artefice consapevole, deus ex machina di questo momento storico i cui effetti si riverberano sulla città del presente, fu Lucio Amelio a cui il regista Michelangelo Gelormini ha dedicato un documentario prodotto da Davide Azzolini per Dazzle Communication. Dopo l’anteprima al Festival del Cinema di Roma, Lucio Amelio si presenta lunedì 4 dicembre al Mercadante di Napoli, il 13 andrà in onda su Rai5 e RaiPlay. Prodotto in collaborazione con Archivio Amelio Santamaria e il supporto di Ministero della Cultura, Regione Campania e Film Commission Regione Campania, il film attraversa le fasi della vita dell’artista e gallerista (1931-1994) che seppe cogliere gli impulsi più propulsivi delle Avanguardie del secondo Novecento, dall’Arte Povera alla Pop Art, ma non solo. Lucio Amelio e la sua mitica Modern Art Gallery, nata nel 1965 in «due stanze senza bagno», al numero 85 di Parco Margherita, trasferitasi nel 1969 in Piazza dei Martiri, ha contribuito alla nascita di gruppi che ancora oggi agiscono la scena napoletana, in primis Falso Movimento, poi Teatri Uniti. Non una galleria, non semplici opere, ma testimonianze, azioni, manifesti: «L’arte contemporanea è una bomba a scoppio ritardato. Tu guarda e poi vedi che succede», diceva Amelio.

A RACCONTARE l’intreccio di vite, idee, incontri la viva voce dei suoi compagni di allora e di chi, all’epoca giovanissimo, ricorda la potenza estrosa di questo personaggio il cui enorme valore culturale è stato compreso solo dopo la scomparsa. La sorella Anna, Toni Servillo, Tomas Arana – suo assistente – , Angelo Curti. Artisti come Nino Lombardo e Ernesto Tatafiore, Pistoletto; ancora Peppe Morra, Achille Bonito Oliva con cui Amelio fondò la rivista «Made in», l’amico storico del cinema e documentarista Mario Franco. Napoli doveva riscoprire il suo etimo di «città nuova», essere nei fermenti della contemporaneità, (ri)diventare una capitale intellettuale e culturale europea: l’azione di Amelio era rivolta a questo. Dalla Rassegna di Amalfi (1966-1968), possibile grazie a mecenati e collezionisti come Peppino Di Bennardo, Renato e Liliana Esposito, Giuseppe Morra, Marcello e Lia Rumma con cui poi Amelio fece a gara per chi si accaparrava l’artista più importante; alla fiera di Basilea, all’incontro magico con Joseph Beuys che ospitò nella meravigliosa villa ad Anacapri di Pasquale Trisorio, al primo contatto con Andy Warhol da cui Amelio si fece fare un ritratto per poi convincerlo a presentarlo a Napoli, fino all’incontro storico tra Warhol e Beuys il 1 aprile 1980, seguito da un party memorabile al City Hall Cafe dove Leopoldo Mastelloni si esibì vestito da Pierrot.

IL FILM si nutre di rare immagini di repertorio che ci restituiscono frammenti favolosi della golden age partenopea ma Lucio Amelio non è solo un ritratto d’artista. Nel susseguirsi di aneddoti, voci, riflessioni dei protagonisti di quell’epoca è forte un sentire: Amelio ha gettato le basi per la città del futuro. Sua l’idea della Rassegna sulla nuova creatività del Mezzogiorno, vero e proprio festival multidisciplinare dedicato agli artisti del sud, sua l’intuizione di Terrae Motus, chiamata collettiva per l’arte dopo il dramma del 1980. A lui si deve la nascita (postuma) del primo museo di arte contemporanea in città, «la sua ossessione»: quando era già malato comprò l’ex convento di Santa Lucia a Monte per farne una fondazione. Come ricorda Mario Franco, «la Sovrintendenza mise moltissimi vincoli, poi scomparsi quando è diventato un albergo: gli alberghi vanno bene, i musei no». Un artista capito da pochi subito, amato da molti dopo, nemo profeta in patria, a cui questo documentario restituisce finalmente il giusto lustro.

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