Si intitola Relative Calm lo spettacolo nuovo di zecca che debutta domani all’Auditorium Parco della Musica, con repliche sabato e domenica, e che vede uniti ancora una volta Bob Wilson e Lucinda Child, due figure storiche dell’avanguardia, di teatro e di danza, ma anche del pensiero e della forma spettacolare nel senso più ampio. Lo hanno presentato ieri alla stampa, e bisogna ammettere che è stata un’emozione per tutti coloro che vi hanno partecipato: non solo per gli aspetti linguistici e più propriamente artistici (a partire dall’importanza specifica dei due nella scena degli ultimi cinquant’anni), ma per la bellezza e le suggestioni che tutti e due sono capaci di scatenare: scientifici entrambi nel proprio lavoro di ricerca e nei suoi effetti, e tenerissimamente per il rapporto che entrambi hanno stretto con Roma, che fa di questa Calma relativa una calma solo apparente.

ENTRAMBI navigano sugli 80 anni. Lei lucidissima, sempre bella e tagliente; lui mostra nel procedere qualche acciacco, ma quando risponde sfodera una energia belluina, fa le vocine e il vocione, scultoreo, da giovanottone texano come nonostante tutto si mantiene, nel legare la scientificità dei suoi calcoli e dei suoi principi al fascino ricco di misteri del teatro orientale: il Katakhali indiano, l’opera di Pechino, il Noh giapponese. Da tutti attinge ispirazione per i movimenti come per le «maschere» in cui immobilizza volto e arti dei suoi performer. Quei segni lui sembra elaborarli come un computer, per raggiungere scultoree pose dall’impatto teatralissimo. Tempo e spazio restano i binari obbligati, anche in dinamico conflitto. E sono gli strumenti con cui creare un capolavoro assoluto come Einstein on the beach (un trionfo nel 1976 alla Biennale veneziana diretta da Ronconi, ripreso più volte negli anni e divenuto caposaldo e modello di ogni successiva creazione operistica) o con cui mettere in scena un testo di Shakespeare.

Entrambi navigano sugli 80 anni. Lei lucidissima, sempre bella e tagliente; lui mostra nel procedere qualche acciacco, ma quando risponde sfodera una energia belluina.

QUALCUNO RICORDA la sua esplosiva prima volta in Italia, nel 1971 all’Eliseo di Roma: Deafman glance ruotava per quattro ore sulla possibilità di comunicazione con un ragazzino non udente; parallelo al lavoro con Christopher, l’adolescente con cui si misurava per ore due anni dopo a Contemporanea (nel parcheggio di villa Borghese) nell’attraversamento insieme del palcoscenico, pianeta mentale da conquistare e padroneggiare. Era già «danza» questa, senza confini di teatralità. Una danza che prese poi forma e rigore con Lucinda Child, che aveva frequentato John Cage e Merce Cunningham, profeti di musica e danza future. Qualcuno potrà ricordare Lucinda e Bob felici a rincorrersi in piazza Navona, raccontati da Franco Quadri, mentre con loro sorrideva felice anche la mitica Susan Sontag.
Ora, per questa Relative Calm, avranno un corpo di ballo di giovani, addestrati da Michele Pogliani (che della Child era stato allievo in America), che si muoveranno sulle musiche di Jon Gibson e John Adams (un altro padre del «melodramma» di oggi). Ma tra loro un brano di Strawinski, quel Pulcinella capace di dare cuore e speranza alla rarefazione del pensiero, calma e relativa, in palcoscenico.