Luciano Ferrara, i femminielli raccontano la memoria di Napoli
Una conversazione «Sirene tra i fari», in mostra a Palazzo Carafa, nasce dalla ricerca del fotografo napoletano sul «terzo genere». Una serie di trenta ritratti, un volume, la vita dietro ogni immagine
Una conversazione «Sirene tra i fari», in mostra a Palazzo Carafa, nasce dalla ricerca del fotografo napoletano sul «terzo genere». Una serie di trenta ritratti, un volume, la vita dietro ogni immagine
Occhi scuri, intensi, nella notte. La sigaretta tra le dita, lunghi boccoli, corpi sinuosi dentro completi Valentino, poggiati sul cofano di una macchina, agli angoli delle strade. Interni di appartamenti, scorci di lenzuola, cucine, specchi, trucchi. Un mondo si apre dietro ogni scatto.
Luciano Ferrara, classe 1950, ha imparato a fotografare e stampare facendo il «ragazzo a bottega» in un negozio di foto a Piazza Cavour. «Con l’avvento degli anni ’70 mi sono buttato: siamo scesi dal marciapiede e ci siamo uniti al movimento. Ho fatto parte di un gruppo extra parlamentare di marxisti leninisti, poi ognuno ha preso la sua strada». Cinquant’anni di fotografia militante – da freelance, con collaborazioni con le grandi agenzie fotografiche come la Contrasto – dedicata «solo ed esclusivamente alle minoranze»: dai disoccupati, alla chiusura dei manicomi, alla Napoli di Lucio Amelio, fino ai reportage esteri, Palestina, Libano, prima Guerra del Golfo.
IL LAVORO sul «terzo genere» costituisce una parte cospicua dell’archivio di Ferrara: oltre millecento scatti cui la Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Campania – che ha acquisito e sta catalogando l’intero Archivio Ferrara – ha deciso di dedicare la mostra Sirene tra i fari a Palazzo Carafa. Circa 30 foto – stampe vintage, in bianco e nero, alla gelatina ai sali d’argento su carta baritata matta, una piccola parte di quelle scattate da Ferrara in oltre vent’anni di ricerca sui femminielli di Napoli – in dialogo con le sculture dell’artista napoletano Pasquale Manzo.
Il primo nucleo si compone di scatti della Collezione Rita e Riccardo Marone, pubblicati nella serie Quaderni di fotografia (Nomos Edizioni) voluti da Marone: il volume I femminielli nelle fotografie di Luciano Ferrara verrà presentato il 25 ottobre al finissage della mostra.
Ferrara inizia il progetto nel ’79, per caso: «Avevo il mio studio in via Chiatamone. Nella vicina piazza Vittoria c’era un bar che di notte era molto frequentato dai femminielli. Una sera dietro la statua in piazza vedo due ragazzi in abiti femminili che si baciano, li fotografo al volo con la mia Leica; la mattina dopo sviluppo e decido di iniziare il progetto. Il mondo dei femminielli non mi era sconosciuto, nelle zone popolari vivevano integrati con le famiglie, facevano la “riffa”, accudivano i bambini, si occupavano della casa. Li definisco “res bis”, entità doppia, maschile e femminile insieme, un soggetto che faccio risalire direttamente alle origini greche di Napoli, unico nel suo genere».
Da qui il secondo nucleo di opere della mostra, appartenente al progetto Resbis, una selezione di foto sottoposte a un intervento di cesura e ricomposizione che richiama questo dualismo e gli interventi di manipolazione sul corpo.
La ricerca pluridecennale di Ferrara si è nutrita di riferimenti letterari e antropologici. In primis Il segno di Virgilio, storia del soggiorno napoletano di Virgilio a cura di Roberto De Simone, in cui il fotografo incappò all’inizio del progetto: «Virgilio, che viveva tra piazza Sforza e Sedil Capuano, già parlava degli “effemminati”. Li ho ritrovati poi nelle opere di Patroni Griffi, Enzo Moscato, Dominique Fernandez, Pino Simonelli: non si tratta solo di prostituzione, c’è questa cornice intorno, un passaggio culturale fondamentale».
COSÌ HA fotografato i soggetti in un arco di tempo lungo «perché la storia deve sedimentare» con un approccio da antropologo: «Devi capire come avvicinarti, non puoi assalirli fotografandoli direttamente».
Un lavoro che va di pari passo con quello di documentazione della città, dalle zone bene come Piazza Vittoria, Teatro San Carlo, Corso Vittorio Emanuele, via Dei Mille, a quelle più popolari, stazione, centro storico, Porta Nolana. Quelle di Ferrara non sono solo foto di strada. C’è un percorso, una vita, dietro ogni scatto.
«Spesso non fotografavo, passavamo solo del tempo insieme. Le andavo a trovare a casa la sera verso le 8, assistevo alla vestizione, il trucco, e scendevamo. Ho più rullini su ognuna: cosa è successo in quelle 36 foto? Ho seguito una storia, in strada, in macchina, a tavola. In futuro vorrei mostrare questo percorso, per me più interessante della foto finale».
Nell’archivio, anche foto scattate a Poggioreale, e quella della Juta a Montevergine, che Ferrara ha iniziato a seguire prima di ogni altro, quando ancora «si facevano le macchine “infiorate” e al santuario si saliva a piedi, in pellegrinaggio». Oggi, dice, la cultura dei femminielli a Napoli è quasi scomparsa, eppure è un argomento molto attuale. «In tanti mi cercano, senza saperne nulla. Ho buttato il sangue 40 anni, anche con quattro macchine al collo, di notte. Non c’è altro modo di fare questo lavoro».
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