Luciano Cecchinel, in silenzioso affiorare
Libri Conosciuto come poeta dialettale, il suo registro più eficace, nella sua ultima opera trasmette incanto alla lingua italiana
Libri Conosciuto come poeta dialettale, il suo registro più eficace, nella sua ultima opera trasmette incanto alla lingua italiana
La calligrafia di Luciano Cecchinel è minuta, regolare, intima. Immagino il poeta mentre verga queste poesie nel suo studio ebbro di libri in quel di Revine Lago, in provincia di Treviso, dove abita. E dove Silvia, la giovane figlia prematuramente scomparsa nel 2001, ha trascorso la sua giovane vita insieme alla sorella Chiara ed a Danila Casagrande, la moglie a cui il poeta dedica buona parte di questa raccolta e che collabora al volume illustrandolo con una decina di rarefatti acquerelli definiti da Silvio Ramat nella sua introduzione «delicati segni aggiuntivi di amore». Il volume In silenzioso affiorare, Stamperia Tipoteca italiana editore, tiratura limitata di 600 copie numerate a mano, è composta da 38 poesie di cui 4 nel dialetto di Revine Lago, le restanti in lingua. Definito da Cesare Segre tra le maggiori voci della poesia italiana contemporanea «grande artista, ma anche grande artefice», erede di Zanzotto di cui è stato amico ed allievo, Cecchinel ha inteso con questo suo canzoniere bilingue consegnare un tracciato famigliare di amore e di dolore dedicato in primis alla moglie Danila ma anche alla figlia perduta ed a Chiara. Gli amici conoscono le lacrime del poeta e la sofferenza nel suo volto che ora si riversa in questo volume che distilla il dolore per lasciar passare solo un delicato profumo, termine che nelle prime poesie dedicate a Danila incontriamo di sovente «….e la notte ti esprime:/ come sapere il profumo di rose/ nelle loro corolle ancora chiuse». Il titolo dell’opera prelude ad un ricordo che riaffiora silenziosamente, un vissuto che rievoca intensamente la speranza. Versi dove i ricordi diventano impressioni, istantanee di un odore o di un colore, delicati echi emotivi. Dei morti si dice che se ne sono andati, affermandone così l’assenza non l’inesistenza, così in questi versi non prevale l’innominabile, la morte, «quel buco cieco assolutamente», come la chiama Morin, ma la mestizia e la speranza. In «Canzone predestinata» scrive «…ma in altra vita nuovo destino/ scioglierà ogni bruma,/ il tuo sorriso sarà il chiarore/ rimasto lassù / oltre l’uniforme cappa scura./ Ora a volte stelle finite/ ripiovono campane/ su immense solitudini di sole». Dunque la mezzanotte dell’esistenza incontra il porto dell’assoluto: la morte, il nulla. Ma le parole, che secondo Huxley possono essere paragonate ai raggi X, «se si usano a dovere, attraversano ogni cosa», anche il nulla e la morte. Così Silvia nei versi del padre riappare mentre gioca con la sorella, ed è viva più che mai dentro quelle stanze «tra nomignoli e carezze». Silvia è accanto a Chiara, prima e dopo, è un «lieve segno». Struggente e delicata la poesia «Si giunsero i nostri cammini» che descrive il cammino del poeta e quello dei suoi cari come luci gemelle «..iniziamo e finiamo vivendo./ Saremo un’unica morte/ in un tenero eterno guardando». Non è un tema nuovo in poesia quello della morte del figlio. Solo per citarne due tra i più noti Carducci in «Pianto antico», Ungaretti ne «Il dolore». Entrambi scrivono lo strazio piangendo i giovani figli scomparsi prematuramente. Altro registro quello di Cecchinel. Nei suoi versi non vi è spazio che per colori tenui, tenere rugiade, stelle e speranza. Nella poesia «In un ritorno nebuloso» si legge «… Perché un giorno/ se per le loro distanze/ di accesi incerti silenzi/ sapremo andare ci sarà forse/ dato rivederci». Funzione riparatrice quello delle parole per il poeta che «Nel vostro oscuro chiarore», ultimo componimento della raccolta recita «… parole, sangue mio e altrui,/quasi ormai coaguli,/ trascolorati serbate/ in silenzioso affiorare». Di questa sesta raccolta di Cecchinel sono esaltate da Ramat anche le qualità formali: il critico infatti non esita a definire «quasi un capolavoro» il sonetto non rimato «E siamo» introdotto dall’epigrafe «sul lago a cui spesso andava la figlia perduta». Infine una annotazione. Conosciuto come poeta dialettale, registro su cui la critica gli attribuisce concordemente grandissimi risultati (basti pensare alla raccolta Al tràgol jért (1988), Sen (1990), Lungo la traccia (2005) e Perché ancora / Pourquoi encore (Istituto per la Storia della Resistenza di Vittorio Veneto, 2005), Le voci di Bardiaga, Sanjut de stran), Cecchinel in questa ultima sua raccolta si cimenta ancora una volta con la lingua italiana. Certo, la poesia «I me insuni sdefadi» se tradotta in italiano perde ritmo e senso. Così quella traduzione in Amorosi spauriti della poesia «Moros spauridi», non restituisce pienamente il significato del termine originario. Dunque il dialetto di Revine Lago rimane sempre il suo registro più efficace. Tuttavia le poesie in lingua italiana hanno un ritmo ed un incanto che fanno di Cecchinel un poeta a tutto tondo e lo introducono senza alcun dubbio nel novero dei più importanti poeti contemporanei.
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