È appena uscito per i tipi di Teti – e si intitola Il Passato presente – un libro a cura di Chiara Bozzoli che recupera una silloge di articoli scritti da Luciano Canfora e pubblicati su La Lettura nel corso di dieci anni (pp. 120, euro 15). Cosa unisce questi articoli tra di loro? Il fatto che il loro autore sia maestro di libertà. Canfora riconosce qui gli aspetti di una società «enormemente semplificata nella sua attività spirituale», quella società in fondo mai moderna, mai definibile nella ridicola «fine della storia» perché, al contrario, la storia non smette di esistere e resiste proprio nell’odore dei papiri perduti a Dongo, nelle copie che rendono autore un semplice copista («che integra il testo credendo di perfezionarlo»), dal momento che la storia non è un «racconto possibile» ma – semmai – la «madre della verità».

COSÌ, insegnando la ragione quale elemento storico (e cioè soggetto al mutamento), egli diviene narratore al modo di Droysen, poiché comprende la forza della libertà come motore primo della storia, avendo il coraggio per denunciare le violenze delle democrazie dei signori, le loro colpevoli contraddizioni. Qui come altrove, quasi fosse «quell’acqua di rivo che riunisce in sé i sapori della roccia», la parola dello storico è arte fina, allusiva, sgorgata da una fonte purissima, i cui rimandi infiniti sono essi stessi processi letterari e il racconto storico è – prima di tutto – azione (Tucidide!). Accompagnati da una logica esattamente racchiusa negli ambiti che le spettano (where it has business!) ci chiediamo cosa sia un originale, avvicinati ad una verità con circospezione, senza pretese monoteistiche. L’autore ci porta in quel Paradiso in cui il mondo si fa narrazione, in cui gli esseri umani, inseguendo la fame, tornano regolarmente a muovere i loro destini, rendendo la storia contemporanea nel presente, come (nel) passato.

E ALLE PORTE del Paradiso il nostro arbitrio si rende libero di conoscere (e non di fare), libero in quella necessità che aveva fatto grande Hegel nel pieno della sua consapevolezza. Canfora, in ogni pagina, insegna che la libertà è consapevolezza dei limiti, di quegli stessi motivi che ci spingono ad apprendere, a superare, con il solo pensiero, l’ombra di una siepe. È allora grande come Syme quando, ironico, restituisce immenso Augusto o – come Tolstoj – quando comprende l’esistenza di un moto continuo della storia che egli chiama a ragione libertà e conoscenza.