Luci e ombre nel recupero dei rifiuti elettronici
Il fatto della settimana Molto più del 65% degli scarti di apparecchi elettronici finisce per alimentare i flussi della raccolta illegale
Il fatto della settimana Molto più del 65% degli scarti di apparecchi elettronici finisce per alimentare i flussi della raccolta illegale
I cimiteri di lavatrici non compaiono solo nel testo della Canzone del padre di De Andrè, sono visibili anche nelle periferie delle nostre città. Frigoriferi, lavatrici ma anche piccoli elettrodomestici giacciono abbandonati lungo le strade, vicino ad aree verdi, nei fossi. Eppure dai RAEE, i rifiuti elettrici ed elettronici, si possono ottenere materie prime e metalli preziosi.
Nel 2018 il Centro di Coordinamento (CdC)dei RAEE, che oggi raggruppa 13 consorzi, creati dai produttori di apparecchi elettrici ed elettronici, ha intercettato più di 310.000 tonnellate di questi rifiuti. Nel 2018 in Italia sono stati raccolti 5,14 kg pro capite. Si tratta di lavatrici, asciugatrici, lavastoviglie, forni, microonde, stufe, ma anche frigoriferi, congelatori, monitor, tv, apparecchi per l’illuminazione.
Lo smaltimento dei RAEE, per il cittadino, può avvenire in due modi: con il conferimento dell’usato in cambio dell’acquisto di un nuovo apparecchio, uno contro uno, oppure presso le isole ecologiche. Dal 2016 è entrato in vigore anche l’uno contro zero, raccolta gratuita dei piccoli RAEE in punti vendita con superfici di almeno 400 mq. In questi casi i rifiuti seguono percorsi virtuosi: recupero del materiale e trattamento corretto delle sostanze pericolose. «Tutto quello che non finisce in queste due filiere legali rimane in una zona grigia, in cui ha gioco facile chi si occupa di smaltimento illegale, su media o larga scala» sottolinea Laura Biffi di Legambiente e autrice del rapporto I pirati dei RAEE del 2014.
La sfida principale per l’Italia è quella di raccogliere il 65% dell’immesso sul mercato, sia domestico che industriale. Il target europeo per il 2019, però, è ancora lontano. Fabrizio Longoni direttore generale di CdC afferma: «Nel 2017 l’Italia aveva raggiunto il 37% dell’immesso sul mercato, di questo circa il 40% proveniva dall’industria e il 35% dal domestico». Secondo i dati riportati nel rapporto Ecomafie 2018 di Legambiente i RAEE risucchiati nei flussi informali supererebbero di molto il 65%.
Le regioni più virtuose sono quelle del Nord, a seguire il Centro mentre il Sud è al di sotto della media nazionale, ad eccezione della Sardegna. Si passa dai quasi 10 kg pro capite della Valle d’Aosta ai 2,70 kg di Puglia e Sicilia. Bisogna dire, però, che i centri di raccolta dei RAEE realizzati e gestiti dai comuni e dalle aziende che si occupano di rifiuti non sono equamente distribuiti sul territorio. Secondo il rapporto 2017 del CdC RAEE si va da regioni come il Trentino e la Valle d’Aosta con 20 impianti ogni 100.000 abitanti ai 3 della Sicilia e dell’Abruzzo.
Dal 15 agosto scorso la normativa sui RAEE è cambiata. Oggi sono da considerare tali tutti gli oggetti, tranne quelli esplicitamente esclusi come: auto elettriche, oggetti bellici e dispositivi impiantati nel corpo umano. Tra i nuovi RAEE ci sono le caldaie di casa. Nuovi produttori stanno entrando nel sistema dei consorzi, sostenendone i costi, «ma si tratta di un processo graduale» evidenzia Longoni.
La dispersione è un problema sia per il mancato recupero di materie prime da rigenerare, sia per il danno ambientale causato dallo smaltimento illecito. Gli impianti di trattamento, infatti, gestiscono in sicurezza gli elementi più inquinanti. «Quando gli elettrodomestici finiscono nel circuito illecito vengono rivenduti solo i materiali che hanno un valore di mercato, il resto viene gettato nell’ambiente, compresi gas, oli e altre sostanze inquinanti» sottolinea il direttore generale di CdC. «Le punte più elevate di dispersione si registrano tra gli apparecchi che hanno un quantitativo maggiore di metalli, come le lavatrici» spiega Fabrizio Longoni.
Ma dove sono le falle del sistema? Secondo il direttore di CdC la prima falla siamo noi cittadini. Non esistono ancora dati sulla quantità di RAEE che finiscono nel sacco dell’indifferenziata, ma soprattutto i piccoli elettrodomestici fanno quella fine. «Dovremmo essere consapevoli che è possibile rigenerare e scomporre i RAEE sia per recuperare le componenti pregiate che per mettere in sicurezza le componenti pericolose» sottolinea Laura Biffi.
La seconda falla è nei comuni che dovrebbero fornire informazioni ai cittadini. Non tutte le aziende che si occupano della raccolta dei rifiuti lo fanno. Come emerge dal numero di centri di raccolta per abitante, non tutti i comuni sono attrezzati. L’autrice del rapporto I pirati dei RAEE sostiene esista un problema di infrastrutture: «Il cittadino che non ha la piattaforma sul suo territorio non può conferire nel comune limitrofo».
A latitare sarebbero anche i soggetti della distribuzione. Non sempre sono chiare ai cittadini le iniziative come l’uno contro uno e l’uno contro zero. «Un punto importante riguarda la progettazione degli apparecchi» spiega Antonio Pergolizzi, curatore del rapporto Ecomafie 2018 di Legambiente. «Se si produce con materiali smontabili, non utilizzando colle ma viti, si facilita lo smontaggio, abbattendo i costi e favorendo la riparazione» sottolinea. «Bisogna uscire dall’obsolescenza programmata e dall’usa e getta». Secondo Antonio Pergolizzi è necessario creare dei mercati del riuso e del rigenerato: «Le procedure devono essere semplificate, da un lato, e dall’altro bisogna intensificare i controlli».
Dai RAEE i consorzi ricavano nuove materie prime. Ecodom, uno dei consorzi, ha raccolto quasi 63.000 tonnellate di ferro, due volte il peso della copertura della Galleria Vittorio Emanuele di Milano, circa 2.000 tonnellate di alluminio, un quantitativo simile di rame e quasi 11.000 tonnellate di plastica.«Siamo ottimi riciclatori» conferma il curatore di Ecomafie 2018: «Il livello di recupero delle materie prime che seguono la strada corretta è molto elevato».
Alle materie prime recuperate si aggiunge anche il risparmio energetico e la riduzione dell’impatto ambientale. Ecodom dice di aver risparmiato energia grazie al corretto trattamento dei rifiuti, pari al consumo annuo di una città come Novara e di aver evitato l’emissione in atmosfera di 780.000 tonnellate di anidride carbonica.
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