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«Lucha y Siesta resiste» alle minacce di Rocca

«Lucha y Siesta resiste» alle minacce di Rocca

Protesta davanti alla regione Lazio Lo slargo sotto la Regione Lazio si riempie già mezz’ora prima dell’orario stabilito dalle manifestanti delle associazioni femministe. Protestano dopo la notizia della chiusura della Casa delle donne e centro […]

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 13 ottobre 2023

Lo slargo sotto la Regione Lazio si riempie già mezz’ora prima dell’orario stabilito dalle manifestanti delle associazioni femministe. Protestano dopo la notizia della chiusura della Casa delle donne e centro antiviolenza Lucha y Siesta. Alle 18.30 il perimetro della piazza non contiene già più le persone: scendono dai marciapiedi e finiscono in strada. L’ingresso dell’imponente edificio della Regione è ora circondato da centinaia di voci di tutte le età che urlano «Regione Lazio non ci togli questo spazio».

La giunta oggi si riunisce per votare la delibera che potrebbe cancellare il progetto di Lucha y Siesta. Lì di fronte, si sono riunite in protesta molte realtà femministe, tra cui la Casa internazionale delle donne, Il centro Donna Lisa, Befree, Differenza donna. La Regione guidata da Francesco Rocca vorrebbere revocare l’accordo raggiunto nel 2021 con l’ex presidente Zingaretti che aveva acquistato l’immobile per tutelare quanto costruito nella Casa delle donne.
La delibera prevede che lo stabile di Lucha y Siesta sia ristrutturato e poi messo a bando. Le abitanti e le attiviste sarebbero spostate in altre strutture. È ancora da capire quali perché «quando i centri istituzionali sono pieni i servizi sociali contattano Lucha» spiega Francesca, dell’associazione Befree. «Secondo il Consiglio d’Europa e la Convenzione di Istanbul, per la grandezza di Roma dovremmo avere 400 posti per donne vittime di violenza, ma ce ne sono appena 50», continua. Mara Bevilacqua, attivista, dice che «le panchine rosse sono un simbolismo vuoto di fronte a 93 femminicidi in 9 mesi», ricordando l’impatto reale che il centro antiviolenza del quadrante sud-est di Roma riveste per una fetta della città. La risposta è stata ampia anche sui social: «Ma vogliamo essere qui anche con i nostri corpi. È solo una delle prime iniziative».

«Anche noi abbiamo fatto una battaglia per diventare bene comune – spiega Angela Ronga, co-direttrice della Casa internazionale delle donne – Per il caso di Lucha y Siesta deve valere lo stesso. Non deve essere riconosciuto solo il lavoro fatto, bisogna anche dire che è tra le espressioni più importanti del movimento femminista. Quindi questo è un attacco a tutti i femminismi».

Lo sgombero è un rischio reale. Le attiviste annunciano che lo contrasteranno con il «fuoco creativo». «Una città senza Lucha y Siesta non può esistere: non è quel palazzo, né il collettivo transfemminista che c’è dietro, ma sono le migliaia di persone che ci supportano» spiega Mara.

Gli striscioni fucsia e viola alle sua spalle appesi tra gli alberi recitano «Lucha siamo tutt3». «Una città senza Lucha sarebbe quella di un altro sistema solare, in cui il patriarcato non esiste. Ma il problema invece esiste e noi abbiamo deciso di contrastare la violenza di genere». Così, la protesta si allarga: non è solo la delibera contro il centro antiviolenza ma è la lotta contro il patriarcato in tutte le sue forme che, per ora, sembra duro a morire.

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