Cultura

Luce D’Eramo, dentro i futuri e le galassie possibili

Un ritratto di Luce D’Eramo (1946) © Marco D’Eramo - licenza wikicommonUn ritratto di Luce D’Eramo (1946) – © Marco D’Eramo - licenza wikicommon

Libri A proposito di «Partiranno», di nuovo disponibile grazie a Feltrinelli. Roma, anni ’80: un agente segreto indaga su alcuni «esseri» ospitati da una zoologa

Pubblicato circa un anno faEdizione del 12 settembre 2023

A proposito di Partiranno, romanzo di Luce D’Eramo del 1986 riproposto ora da Feltrinelli con prefazione di Giorgio Parisi (pp. 516, euro 29), vale ritornare all’intensa intervista alla scrittrice di Paola Gaglianone, pubblicata in volume con il bel titolo «Io sono un’aliena» nel 1999 per le Edizioni lavoro, due anni prima della sua morte avvenuta nel 2001. Meriterebbe anch’essa una nuova edizione, perché Luce d’Eramo vi riflette ad ampio campo sulle proprie motivazioni alla scrittura, tra cui «rappresentare l’invisibile, questo era il mio desiderio», afferma. E nulla di più invisibile dei personaggi di questo romanzo, che anticipa e prefigura la possibilità di altri mondi da cui essere osservati con attenzione e curiosità molto maggiore di quanto noi stessi dedichiamo a tutto ciò che è diverso da noi.

PROTAGONISTI del romanzo sono infatti gli abitanti di un’altra galassia, i Nnoberavazi, che svariati testimoni del loro approdo sulla terra descrivono e raccontano in modi assai diversi, in un esilarante, ironico e dissacrante intreccio di punti di vista di sconcertante attualità, in cui, come osserva uno dei protagonisti, «anche le carte sono un’avventura». L’accoglienza che insieme alla sua ampia famiglia Paola Rodi, una zoologa con casa sull’Aventino a Roma, riserva a esseri che hanno un aspetto mutevole, che oscilla tra l’animale e l’umano e che si esprimono variamente attraverso forme di comunicazione mentale assai diversificata, si intreccia infatti con lo spionaggio internazionale che si vuole impadronire degli alieni per fini industriali e di primato politico. Ovviamente mai riuscendovi, grazie alla evidente superiorità degli alieni tutti, che siano essi Nnoberavazi o terrestri, rispetto al sistema della sorveglianza totale, che in realtà presenta falle continue, in particolar modo quello italiano; ma non è che quelli sovietici o statunitensi appaiano migliori per capacità e intelligenza.

La macchina della rappresentazione composita messa in scena da Luce d’Eramo è infatti planetaria e va dalla Terra a Nnoberavaz passando per Roma, New York, Parigi e molti altri posti che le/gli alieni – ma difficile decifrare il loro sesso, Luce d’Eramo antesignana anche in questo, oltre che antispecista antelitteram – frequentano e abitano lungamente nella loro quieta osservazione degli umani, unico genere e specie che loro conoscano capace di cantare meravigliosamente e al tempo stesso di produrre una cacofonia continua e insopportabile nelle città, ma difficile definire quest’ultima una virtù.

LUCE D’ERAMO in questo romanzo passa con magistralità dal registro del romanzo storico a quello fantascientifico, riattraversando oltre venti anni di storia italiana in esso riflessa, grazie alla ricostruzione meticolosa da parte del personaggio con cui si apre la narrazione Carlo Ramati, appartenente ai servizi segreti italiani che nella sua indagine ripercorre venti anni di permanenza degli extraterrestri sulla terra.

«Tre creature di singolare conformazione, che avrebbero la facoltà di regolare il proprio volume corporale restringendolo o dilatandolo a volontà», questa la loro descrizione nell’informativa, segretissima, dei servizi segreti italiani che affidano a Ramati il compito di indagare su di loro e sui cittadini italiani residenti a Roma, che offrirebbero loro asilo e assistenza, ovviamente di nascosto dalle autorità. Le foto che corredano il memorandum, poche e anche sfocate, mostrano soggetti che inizialmente sembrano animaletti da pelliccia, risultando poi di statura umana, con la consistenza però di ombre, con orecchie lunghe l’una, aguzze l’altra. Quanto di più indeterminato, ma anche quanto di più alieno apparentemente si possa immaginare dall’umano – inteso come specie, va da sé. Il loro arrivo nella casa romana viene ripercorso grazie ai quaderni di appunti della zoologa Paola Rodi, che ha ben chiaro il concetto di soglia, argomento anche dei suoi saggi scientifici.

IN ESSI vi è la narrazione di un incontro che modificherà profondamente la vita di quante e quanti coinvolti, a partire dal primo marzo 1963, data di ingresso nella sua casa di un «animale sconosciuto», così lo definisce la zoologa, ben consapevole di avere di fronte qualcosa di del tutto impensato fino a quel momento.

Non vi è dramma nell’incontro, quanto piuttosto curiosità, interesse reciproci, molti interrogativi che portano progressivamente alla consapevolezza che non si è di fronte a terrestri, e tante le possibili metamorfosi, anche diverse, di ogni essere alieno, mentre il dato comune è di sapiente innocenza, ma molto più sapiente di quanto non si pensi, capace di esprimere un proprio punto di vista in un suo proprio umanese. Esilarante il biglietto che lascia uno di loro, Ssò: «Scusate se vi chiedo una informazione piccola, ma a Paolo VI e anche a Mao Tse-tung pizzichereste voi il naso tra due dita? Sareste voi abusanti di toccare per tutto il corpo? Perciò inoltro un piccolo reclamo». Un’altra Nnoberavazi, denominata la Signora, si esprime solo con i baffi e la comunità umana, che ormai si dedica con entusiasmo e partecipazione alla interlocuzione con gli esseri alieni, mette a punto con pazienza – reciproca, va detto – un vocabolario dinamico e statico baffese, felici tutti di stare insieme, come amaramente notano gli uomini dei servizi segreti che li spiano.

EMERGE, INFATTI, anche la necessità di tutelare dalle istituzioni una specie che però sa benissimo tutelarsi da sola, perché «persone che calcolano le onde del vuoto attraverso miliardi d’anni luce sanno certamente calcolare anche le mutevoli pieguzze dell’animo umano».

Mentre gli umani no, affatto, e Paola Rodi morirà uccisa in un’azione congiunta dei servizi segreti italo-statunitensi, mirante a catturare gli extraterresti prima di altre potenze; icasticamente istruttivo il modo con cui Sismi e Digos cercano di insabbiare la sua morte, tema anch’esso, purtroppo, ancora di attualità.

Partiranno è romanzo preceduto dallo strepitoso Deviazione, pubblicato in volume per la prima volta nel 1979 e riproposto sempre da Feltrinelli nel 2012; di pochi anni successivo Ultima luna, iniziato subito dopo la pubblicazione di Partiranno, nel 1987 e poi pubblicato nel 1993, in cui ancora compare «un bisogno di alienità», pure in una storia dedicata alla vecchiaia.

Come ha osservato la stessa Luce d’Eramo la sua è una scrittura sulle situazione estreme e «Partiranno è il romanzo dove il bisogno di comunicare col diverso è giunto all’estremo: ho scritto per cinque anni dall’81 all’85 il soggiorno sulla terra d’alcuni extraterrestri venuti dal lontanissimo pianeta Nnoberavez, ed è stato uno dei periodo più felici della mia vita», il libro che le ha dato «più spazio mentale». Che appare in modo mirabile nelle pagine del romanzo in cui viene pubblicato dopo la morte di Paola Rodi, a sostegno della tesi del suo assassinio – e non certo del suo suicidio come si vorrebbe sostenere da parte della polizia -, un testo che testimonia la sua apertura di orizzonte.

NELL’APPARENTE interlocuzione «immaginaria» con l’extraterreste Ssò Nacolden, egli osserva come essi siano divenuti migratori per desiderio di conoscenza, «nomadi dell’anima» sono poi definiti e più oltre «trans-specie»; mentre la specie umana è fatta per trasformare il passato e dà la propria impronta a tutto ciò che tocca, perché ha bisogno che il mondo rimandi la sua immagine; e conclude «biologicamente siete dei manipolatori», ma senza alcun elemento di giudizio al proposito da parte nnoberaveze, ma da parte di chi legge sì, è evidente, perché, come si ricorda nelle pagine conclusive, per Foucault «pazzia è l’elusione del diverso».

Giustamente osserva Giorgio Parisi nella Prefazione che nel libro è strettissima la relazione tra letteratura e conoscenza scientifica, che la voce narrante di Paola Rodi mette a fuoco con estrema lucidità, perché consapevole di quanto sia importante di fronte alla presenza dei Nnoberavazi spazzare via i propri luoghi comuni e «portare a coscienza le ombre, le idee confuse, i non concetti, i buchi». Tutto il contrario del pensiero strutturato – si vuole aggiungere: patriarcale – e delle voci di autorità cui siamo abituati ad appoggiarci.

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