Visioni

Lucas/Redford,consigli preziosi di indipendenza

Lucas/Redford,consigli preziosi di indipendenzaLuca e Redford durante l'incontro

Sundance La scoperta del cinema, le prime sale, l'invenzione di una politica fuori dagli Studios. La conversazione tra i due registi accende il Festival

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 31 gennaio 2015

Due percorsi indipendenti e altrettanto leggendari a confronto. George Lucas e Robert Redford sono stati i protagonisti della prima di una serie di tavole rotonde dedicate al cinema indipendente che si terranno durante il week end. Ne riportiamo alcuni estratti. L’intero incontro, moderato dal critico Leonard Maltin è disponible sul sito del festival – www.sundance.org.
Robert Redford: «George ed io abbiamo in comune l’amore per il cinema e il desiderio di indipendenza. Per me tutto è cominciato a Los Angeles, sono cresciuto in un quartiere piccolo borghese dove si andava al cinema al sabato sera. Avevo tre o quattro anni,quei sabato ebbero un grosso impatto: per 40 centesimi vedevamo due film, un paio di cartoon e il newsreel della guerra. È lì che è nato il mio amore per il racconto, ’c’era una volta’. E il cinema è racconto per immagini.

 


George Lucas: Sono cresciuto in una cittadina della California centrale. Al cinema andavamo ogni tanto ma non era una passione … Crescendo ho iniziato ad andarci per rimorchiare le ragazze. Non badavo a quello che succedeva sullo schermo. Ma mi interessavano le arti visive e la radio dove potevi immaginare quello che non vedevi. E mi piaceva disegnare. Abbiamo comprato la prima tv quando avevo dieci anni così ho smesso di leggere fumetti e ho iniziato a guardare serial e western. Ma amavo disegnare, e mi piaceva la fotografia.

 


R.R.: Da piccolo disegnavo per non sentirmi solo. I miei non avevano i soldi per la baby sitter quindi mi portavano dietro quando andavano a giocare a carte dagli amici e, per tenermi occupato mi davano fogli e matite. A quattro o cinque anni pensavo che sarei diventato un artista, anche se in quegli anni l’arte era considerata come qualcosa di futile. Mio nonno diceva che l’arte non si mangia…

 


G.L.: Sono finito alla Usc (University of Southern California) per caso, su consiglio di un amico che studiava business. Mi ha detto che c’era una buona scuola di fotografia. Erano gli anni Sessanta, tutti noi alla scuola di cinema odiavamo l’establishment. Non avevo nessun interesse per gli studios e i loro film. Volevo fare documentari e cinema sperimentale. È stato grazie a una borsa di studio dell’università che sono andato alla Warner per un tirocinio di sei mesi. Francis (Coppola, ndr) stava girando Finian’s Rainbow. Ci siamo conosciuti così. Insieme ce ne siamo andai da LA e abbiamo girato The Rain People. Dopo di che l’ho convinto a tornare a San Francisco dove abbiamo fondato l’ America Zoetrope. Francis aveva qualche soldo e li ha investiti in equipaggiamenti per fare cinema. In città non c’era niente … Gli executive delle Major non sono le persone più sofisticate del mondo, e non è un bene essere controllati da gente meno intelligente di te. Ve lo dice uno che non è molto intelligente….

 


R.R. Quello che ammiro in George è che controlla completamente il suo universo. Una parte del suo genio creativo è essersi costruito la possibilità di non dipendere da nessuno. In questo senso rappresenta meravigliosamente l’indipendenza. Il primo film che ho potuto realizzare in modo completamente indipendente è Downhill Racer. (di Micahel Ritchie, ndr).Volevo raccontare delle storie diverse da quelle che produceva Hollywod, un’America di grigi, più complessa. Avevo avuto qualche successo come attore quindi lo Studio mi ha lasciato fare a patto che rimanessimo dentro a un budget piccolo, un milione e mezzo. Non è stato facile. Ma quello che amo del cinema indipendente è che ti costringe ad essere creativo. Per dare la sensazione della discesa libera a 70 miglia all’ora, ho messo una Arri sulla spalla di un ragazzo dell’Idaho e un microfono nel suo scarpone … Credevo che sarebbe morto invece è arrivato al traguardo, e quando abbiamo visto il girato avevamo ottenuto ciò che volevamo. In uno studio non sarebbe mai stato possibile.

 


G.L.: L’unico consiglio che posso dare è di puntare sulle cose fuori dall’ordinario, sull’immaginazione. Altrimenti si rimane prigionieri. Provate a pensare cose succede mettendo un cane enorme a bordo di un’astronave. Star Wars era pieno di cose ridicole che oggi sono normali. Le regole, i dogma, le ideologie sono una trappola. Il soggetto della maggior parte dei miei film è come uscire da quella trappola, dalla prigione del cervello. Tutta l’arte è tecnologia. È quello che ci separa dagli animali. Ma se uno guarda Star Wars con attenzione c’è più sostanza che in un semplice spettacolo da circo

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