Primo, mostrare di crederci: battere Angela Merkel si può. Malgrado i sondaggi molto sfavorevoli. Questo il messaggio principale che doveva uscire dal congresso del Partito socialdemocratico tedesco (Spd) svoltosi domenica ad Augusta, nella Baviera meridionale. E così è stato.
Tutti gli occhi erano puntati su Peer Steinbrück, l’uomo che la Spd ha scelto lo scorso ottobre per contendere alla leader dell’Unione cristiano-democratica (Cdu) la guida del governo della Germania. Un candidato che, invece di risultare l’arma in più per sconfiggere la cancelliera, si è convertito quasi subito nel principale problema dei socialdemocratici, grazie a una serie interminabile di gaffe. Il congresso era dunque la sua ultima occasione: o dimostrava di avere il partito con sé o sarebbero cominciate le manovre per sostituirlo.
Con un lunghissimo e battagliero discorso, il sessantaseienne Steinbrück sembra aver convinto i delegati che può ancora condurli alla vittoria alle elezioni politiche di settembre: a dimostrarlo, le standing ovation a non finire e le reazioni dei principali dirigenti improntate nuovamente all’ottimismo. Basterà tutto ciò a rivitalizzare il corpo un po’ anemico del partito che fu di Willy Brandt? Dubitarne è legittimo, perché al di là delle dichiarazioni sfortunate (da «il cancelliere guadagna poco» alla più recente sulla possibilità che gli scolari maschi e femmine facciano lezioni separate di ginnastica per non urtare sensibilità religiose), Steinbrück è «fuori-linea» rispetto al programma del partito.
Dopo il lungo regno di Gerhard Schröder all’insegna delle «riforme» targate «Terza via», come l’abbassamento del peso fiscale sui redditi più alti e sulle imprese o la diminuzione delle prestazioni sociali per i disoccupati, l’attuale Spd è tornata a collocarsi più a sinistra. A proposito della reformpolitik dell’ex cancelliere Schröder, il partito di oggi difende l’aumento degli investimenti in ricerca e innovazione e lo sviluppo delle energie rinnovabili, ma riconosce anche le conseguenze nefaste, come «l’abuso del lavoro interinale, dei minijobs e dell’impiego con bassi salari». Un’autocritica scritta nero su bianco nel programma elettorale, votato all’unanimità dai delegati riuniti ad Augusta, che contiene proposte come l’introduzione di un salario minimo intercategoriale di 8,5 euro l’ora, l’aumento delle imposte sui redditi alti e sui patrimoni, e misure per «domare il finanzcapitalismo»: dalla tassa sulle transazioni finanziarie alla lotta ai paradisi fiscali.
Il problema è che Steinbrück, esponente della destra del partito, non appare molto credibile agli occhi dell’elettorato (a partire da quello socialdemocratico) come interprete del nuovo corso della Spd, essendo stato un fiero sostenitore della politica dell’ex cancelliere Schröder e, successivamente, ministro delle finanze del governo di «grande coalizione» con la Cdu (2005-2009). E la sua (presunta) capacità di «conquistare il centro» – ammesso e non concesso che vi siano circostanze in cui tale ragionamento abbia senso – non sembra di particolare utilità in una fase nella quale la Cdu a guida Merkel è assai lontana da posizioni conservatrici classiche. I voti, insomma, andrebbero cercati soprattutto tra le fasce sociali a rischio di povertà ed esclusione sociale che sono in forte aumento anche nella ricca Germania, come denuncia il recente rapporto dell’autorevole Fondazione Hans Böckler.
I prossimi cinque mesi diranno se la Spd riuscirà a impensierire davvero la cancelliera uscente. Secondo le ultime inchieste d’opinione, Merkel dovrebbe riuscire a condurre nuovamente alla vittoria la coalizione che attualmente governa a Berlino, data in vantaggio di 9 punti sull’alleanza fra Spd e Verdi. Anche grazie al fatto che i liberali della Fdp, soci della Cdu, appaiono in ripresa: ora vengono loro attribuiti consensi intorno al 5%, la soglia di sbarramento che occorre superare per entrare nel Bundestag. Un «dettaglio» dal quale potrebbe dipendere la direzione che prenderà la politica della Repubblica federale (e dell’Europa) per i prossimi quattro anni.