L’otto marzo non si festeggia, si sciopera
Non Una Di Meno Le donne combattono per nuove forme dello stare in vita e al mondo, per farla finita con i generi, per scardinare la loro implicita, ormai esotica gerarchia
Non Una Di Meno Le donne combattono per nuove forme dello stare in vita e al mondo, per farla finita con i generi, per scardinare la loro implicita, ormai esotica gerarchia
Allora niente per oggi. Niente servizi sessuali, di cura, di educazione, di pulizia, gestione domestica, niente lavoro di quei corpi di donne, corpi in transizione, migranti, sottopagati, malretribuiti e sfruttati.
Sfruttati da quel vecchio sfinito sistema patriarcale capitalista che si sente ancora in diritto di usare, umiliare, lasciare fuori o chiudere dentro, ridurre al silenzio corpi che ancora crede di possedere. Senza i quali crollerebbe. Se il debito per il lavoro sessuale venisse pagato dagli uomini eterosessuali, dice P.B. Preciado, allo stesso modo in cui i paesi occidentali dovrebbero rispondere del saccheggio coloniale, tutte le donne del pianeta riceverebbero una rendita vitalizia sufficiente a permettere loro di passare il resto della vita senza lavorare.
MI SPIEGO MEGLIO, se a partire da oggi ci astenessimo dal lavoro di cura, se rompessimo il contratto millenario che obbliga le donne al lavoro produttivo e riproduttivo, se la smettessimo di passare il tempo ad ascoltare e capire invece di prendere parola sul mondo, andrebbe in crisi l’economia non domestica ma globale. Se imponessimo parità di salario, se ci rifiutassimo di lavorare gratis, se non volessimo più quel carico mentale che ci hanno detto riservato alle donne perché per natura docili e più capaci nella gestione quotidiana della vita, nella comprensione di ogni tipo di fragilità, ecco, quel potere sarebbe minacciato, e non da uno spirito di vendetta e odio, ma dal desiderio di libertà, di autodeterminazione, dalla potenza che deriva dall’essere senza dover essere, di esserci senza dover incarnare i sacri codici della finzione politica femminile, per intendersi madri e puttane, donne fighe e cagne, addomesticate e stronze, ma l’elenco sarebbe lungo.
OGGI 8 MARZO NON si festeggia, si sciopera. È lo sciopero femminista e transfemminista, quello che la rete mondiale Non Una di Meno indice da quattro anni, un movimento antisessista, antifascista, intersezionale, antirazzista, anticapitalista, antispecista. Rivoluzionario perché le soggettività che ne fanno parte non aspirano a sedersi sugli scranni del potere patriarcale con la stessa tecnica politica basata sulla violenza con cui ha dominato finora, ma sono intenzionate a inventarsi nuove forme dello stare in vita e al mondo, a cambiare linguaggio della narrazione simbolica e materiale. Sì, il linguaggio, la prima lotta. Quella che serve a ridefinire gli affetti, i desideri, le forme della vita, le economie, i generi – e forse potremmo pure farla finita con i generi così da scardinare anche la loro implicita ormai esotica gerarchia.
VIA TUTTO, SI PARTE da sé, e si intessono relazioni che includano e non escludano, che apparentino senza bisogno di appartenere a un qualche legame di sangue o giuridico per lo più coercitivi.E poi via il modello capitalista che sfrutta corpi e terre, le loro risorse in forma di proprietà, eredità, diritto, con la violenza, via il silenzio di qualunque corpo oppresso subisca il ricatto economico, psicologico, sessuale, politico, lavorativo. Lo so, fa paura.
MA NIENTE PAURA. Quest’anno ci si è messo un virus con la sua violenza e impenetrabilità a impedire che succeda. Tutti a una distanza di sicurezza, sotto controllo, sotto stretta sorveglianza, corpi oppressi dal terrore di stare insieme. Niente manifestazioni che possano farli incontrare, condividendo quel che potrebbe alleggerirli, sollevarli. E non sarebbe affatto terribile restare a casa, non dovere correre per cucinare, prendersi cura e godere della vicinanza di chi ci ama, sempre che ci ami senza ammazzarci, non sarebbe pesante stare per un po’ in una condizione liberata dai tempi produttivi del lavoro, sempre che nel frattempo non ci abbiano lasciate a casa nel senso di licenziate. La maledizione non sarebbe la situazione in sé, sono le condizioni sociali storiche di sfruttamento che rendono tutto questo insopportabile.
QUESTA EMERGENZA sanitaria sta rivelando la violenza di ogni ingiustizia che ci teniamo dentro e tra le mura. Eccoci lì, dentro case scoperchiate come un proscenio, corpi inchiodati a un’economia che ci cuce addosso i ruoli di servizio di sempre, ostaggi di una politica che lascia poco tempo, niente denaro, niente desiderio, niente invenzione di sé.
Allora, niente paura, questo sciopero oggi si farà, dentro le case e fuori. Ci inventeremo forme di liberazione dal lavoro di cura condividendola, affidandola a chi non la pratica mai.
OCCUPEREMO GLI SPAZI pubblici, fossero rimasti solo quelli della produzione e del consumo. Ci uniremo in un’alleanza di corpi, un’alleanza con sé stessi e con la comunità, quell’assemblaggio che siamo come individui e come collettività noi lo porteremo in cortei di parole senza eludere i corpi. Ci inventeremo qualcosa, lo so. Perché la vulnerabilità, la precarietà, non hanno come contrario la sicurezza, direbbe J. Butler, ma la lotta per un ordine politico e sociale egualitario che renda possibile una pari distribuzione dei beni, che garantisca una vita ugualmente vivibile. Ecco, niente paura. Niente può fermare questa lotta.
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