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L’otto, ancora

L’otto, ancoraSciopero femminista, Bologna, 8 marzo 2019

L'intervento Considerazioni in vista di una manifestazione

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 6 marzo 2021

Immaginate di alzarvi domattina e di fare il caffè, niente vestiti puliti, i piatti sporchi della sera prima, il frigo vuoto che vi ricorda di fare la spesa, un figlio da portare a scuola, un altro con la febbre, al telefono una voce familiare che si sente sola mentre siete già in ritardo, dovreste essere al lavoro dove i colleghi sono tutte donne e non c’è verso di fare una battuta di quelle che faceva vostro nonno quando guardava passare una donna e vedeva solo un culo, dove non c’è una vostra collega che guadagni meno di voi che fate lo stesso lavoro, dove la segretaria è un segretario e non le piace quella mano intorno alla spalla, dove il capo è una capa e quel genere di potere gerarchico che penalizza e discrimina lo vuole sovvertire in uno più equo e inclusivo, dove gli abusi di potere sono puniti col licenziamento.

Vi sentite un po’ male? Allora andate in bagno e quel binario modo di pisciare non c’è più, niente maschio femmina ma uno psichedelico modo di rappresentare quello che ogni identità vorrebbe essere, temporaneo e potente allo stesso tempo, e vi tocca godere dell’indecisione che ogni fine di normativa celebra. E alla fine è ora di farvi un bicchiere, è sera, immaginate di andare al bar, e sono tutt* lì con quel modo di sentire che i corpi sono vivi, e il linguaggio sessista è bandito, e ogni commento non è maschilista, e ci si gode il potere seduttivo di ciascun*, emancipato ogni approccio implicitamente maschilista, fine del «dai, te lo spiego io», «stai calma, lasciami parlare», «te la sei cercata, eri ubriaca, dai, una che beve così vuole solo quello».

Vi sentite un po’ confusi, anche un po’ frustrati. Ora di andare a casa, vi aspetta tutto pronto, bambini lavati, tavola apparecchiata, pentole sul fuoco. E invece, niente, tutto da fare, figli col muso, cena dio-sa-cosa preparare, caldaia che non fa il suo mestiere, tocca a voi risolvere tutto, e ci vorrebbe la fuga se non fosse che magari l’incubo è finito.

L’8 marzo è andato, lo sciopero delle donne e della loro idea di cura e di libertà dura un giorno, torna tutto normale, tornano loro, quelle che si occupano di tutto, che il carico mentale se lo sanno gestire insieme a quello materiale, che in fondo sono abituate, sono pure quei duemila anni, no? Che il patriarcato non è una brutta parola, è quello che le ha tenute lì, buone buone, tra cucine e camere da letto, tra cura e sesso qualcosa avranno pure avuto in cambio, almeno in casa sono padrone loro, la piazza lasciatela a uomini che sanno come si fa da quei duemila anni, no? tra violenze e prevaricazioni, quel sistema così oleato, funziona così bene, l’economia capitalista su cosa si fonderebbe sennò, come sopravviverebbe senza schiav* manuali o sessuali che siano.

Che parlino pure facendo finta che sia importante quel che dicono, giusto un giorno, mentre si assentano da quel luogo politico che è la loro stessa vita di tutti i giorni, doppio tutto, produttivo riproduttivo, sessualità maternità, lavoro di cura lavoro sessuale, economia dello scambio tu mi dai io ti prendo, pure un po’ per quella idea del «è sempre stato così», che la lotta è lunga e dura e che pure le donne non è che sono tutte consapevoli, non è che sono tutte femministe, ce l’hanno nel sangue il patriarcato, ci sono nate, sono state educate così, che adesso le donne credono di essere femministe perché si infilano una maglietta con su scritto I am a feminist, e si mettono un paio di anfibi al posto dei tacchi, e magari ci tengono al loro orgasmo, penetrativo.

Lo stile di vita femminista, che non diventa mai trasformazione culturale, che non è mai politica. Lo sanno le femministe come bell hooks, che per scegliere la politica femminista bisogna aver fatto un’esperienza di conversione mentale, una curva della strada, roba da rivoluzione, perché siamo tutti stati condizionati a essere sessisti. Che il problema è il sessismo, non gli uomini. Gli uomini, come lo lasciano quel privilegio che li vede entrare dappertutto con quel passo certo, largo, da «il mondo è mio da tutta la storia, ci manca che adesso arrivate voi».

E allora come si fa? Cosa fare ora che è notte? E verrebbe voglia di farsela quella che sta lì girata dall’altra parte, che alla fine è pure un diritto, no? E ci deve stare pure lei, che poi non si lamenti se ce ne andiamo altrove, se si ribella, se vuole essere libera anche solo di dire di no, mica glielo lasciamo fare, che umiliazione, fine della virilità, della maschilità, della storia come ce la siamo scritta e raccontata, che è solo un raptus, una follia, un momento di pazzia, parlava troppo, non le bastava, cosa voleva? E allora zitta tesoro, e allora muori amoremio, tu e tutte le tue rivendicazioni di libertà, di autonomia, di voglia di esistere senza dar conto di come, di voglia di essere senza dover essere come ti raccontano da secoli, gentile, accogliente, pacifica, mamma, stronza, isterica, puttana. Sarai una delle tante morte che non riempiono i giornali, nessuno se ne accorgerà, nessuno griderà all’allarme sociale, nessuno pubblicherà foto di assassini, nessuno punterà il dito contro quel sistema maledetto che affligge da secoli la storia e che domani in ogni casa potrebbe essere messo alla berlina, al muro, alla gogna, quel sistema patriarcale che fa sua ogni cosa che tocca, che fa sua ogni donna che vede, e che fa morire se non diventa o resta sua.

Immaginate che lo spazio politico sociale sia ribaltato da corpi che non ci stanno più a lavorare gratis, a subire soprusi e abusi, forme miti e feroci di violenza, che a casa al lavoro al bar ogni gesto sia antirazzista e antisessista, che ogni parola detta sia femminista, che ogni linguaggio sia la testimonianza di quella lotta che non odia e non vendica ma desidera. Immaginate che siano uomini a contrastare il comportamento di altri uomini, a mortificare certe pratiche maschili, a dire che è un problema loro se il potere dell’amore diventa potere di vita o di morte, che così arrogante com’è, strafottente come si impone il capitalismo patriarcale che relega le donne a casa, a lavori di cura e di doppia prestazione casa lavoro, è ora che venga smantellato, che quest’anno di pandemia ha aumentato il carico di lavoro delle donne, ha fatto esplodere fenomeni di violenza preesistenti, ha giustificato lo stato di assenza e abbandono di ogni spazio pubblico che non sia commerciale, che quella paura millenaria di perdere privilegi e poteri sarebbe ora che venisse esorcizzata, perché meno dipendenza economica più che emotiva, meno ricatti economici oltre che affettivi, hanno sempre fatto paura. Continuano a farla. Immaginate di non avere paura di una politica femminista, della sua capacità di ripensare il mondo. Immaginate cosa fare domattina, facendo, o non facendo, quel caffè.

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