Visioni

«Lost Highway», le «strade perdute» del desiderio

«Lost Highway», le «strade perdute» del desiderioUna scena da «Lost Highway - Strade perdute» (1997)

Cinema Torna in sala dal 16 al 18 gennaio, grazie alla Cineteca di Bologna, uno dei capolavori di David Lynch. La dialettica della virilità, le inquietanti illusioni del maschio bianco, la modernità del film ancora oggi

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 13 gennaio 2023

Uno dei capolavori di David Lynch, Lost Highway – Strade perdute, esce in sala (16-18 gennaio) dopo il restauro frutto della collaborazione di Criterion con la Cineteca di Bologna. Se era destino che le «strade perdute» finissero al cinema ritrovato, resta da capire che cosa si è perso e che cosa ritroviamo in questo antico e modernissimo capolavoro della fine del secolo scorso, le cui tinte cromate e le atmosfere minerali del deserto meritavano il lavoro di restauro in 4K.

L’intero può avere una logica, ma il frammento, tolto dal suo contesto, assume un eccezionale valore di astrazione. Può diventare un’ossessione.David Lynch
Una pista ce la suggerisce Lynch stesso che, sempre in questi giorni, ci strizza l’occhio dal grande schermo nei panni di John Ford in una scena di The Fabelmans di Spielberg. Non è la prima volta che Lynch recita. Nella serie Twin Peaks, vestiva i panni del «Bureau Chief» Gordon Cole, il superiore dell’agente Dale Cooper. Nella terza serie dello show Louie di Louis C K, era il produttore televisivo Jack Dahl che deve preparare Louie a prendere il posto di David Letterman. Lynch si mette dunque in scena volentieri nel ruolo del direttore, del metteur en scène, del master mind. E, al tempo stesso, si tratta sempre di un demiurgo azzoppato. Da un lato, tutti questi ruoli sono minori e in ultima analisi ininfluenti nelle rispettive storie. Dall’altro, tutti questi uomini di potere sono in qualche modo diminuiti proprio lì dove dovrebbe esprimersi la loro potenza. Il regista John Ford è cieco ad un occhio. L’agente Gordon Cole è affetto da un handicap auditivo (forse rubato a Truffaut in Effetto Notte). Quanto a Dahl, è una vecchia gloria della televisione senza più influenza nel proprio network.

QUANDO Strade perdute è uscito in sala, nel 1997, si è immediatamente percepito che il tema centrale fosse quello della virilità e della sua pericolosa dialettica. Pericolosa in primo luogo per le donne, ovviamente. Tutto comincia con un amplesso deludente. Renée Madison (Patricia Arquette) consola il proprio partner Fred Madison (Bill Pullman) con una leggera pacca sulla spalla, e una frase sussurata : «It’s good… it’s ok», va bene. L’umiliazione che quel gesto implica scatena una forza eguale a quelle potenze che nei classici hollywoodiani rappresentavano la libido repressa: Gli uccelli di Hitchcock o la macchina desiderante del Pianeta proibito. È una forza che strappa la stoffa di cui è costituita la realtà percepita, e che precipita il protagonista in una dimensione allucinata. Uccisa la moglie, scomparso il sostrato ontologico che potremmo chiamare realtà, Fred impazzisce, cade dentro una visione da lui stesso prodotta e che si presenta come una versione ribaltata della propria esistenza, dove lui è diventato un giovane proletario virile alla James Dean, Pete, mentre Renée si è trasformata nella bimba biondo platino Alice che, al contrario di Renée, non smette di rassicuralo sulla sua virilità, mentre l’impedimento sessuale si è materializzato nella figura del gangster M. Eddy che si oppone alla felicità della coppia.

NEL LONTANO 1997, il tema del maschio spaventato dalla donna, terrorizzato dall’enigma della sua sessualità, tetanizzato dalla paura di non riuscire a connettersi con essa (tema che sarà ripreso due anni dopo in maniera meno efficace da Kubrick in Eyes Wide Shut) serviva meno a descrivere l’eroe maschile che ad aprire uno squarcio sul desiderio femminile. Su questo, Lynch è stato e resta rivoluzionario.

Oggi, forse, rivedendo Strade perdute, l’attenzione torna su Fred. Su quel maschio bianco middle class dei suburbi americani. Lo incontriamo in ogni angolo di internet, quel maschio frustrato, che teme di perdere il proprio dominio, che ha paura di non controllare più le donne, che si lamenta di non poter più insultare gli omossessuali, di non poter più girare in macchina ovunque. Quel maschio bianco sogna di tornare a quel momento in cui le cose erano ancora a loro posto: i «negri», le donne, gli omosessuali… Il mondo invertito di Lost-Highway- Strade perdute ha oggi un nome, uno slogan politico: «Make America Great Again». E un leader, Donald Trump, che sembra quasi una caricatura del personaggio di M. Eddie. Come l’eroe di Lost-Highway – Strade perdute, questi maschi bianchi non riescono a sopportare il mondo nel quale vivono, non ne accettano la realtà, ne inventano allora una che corrisponde al proprio desiderio: l’America degli anni cinquanta o la Russia di Putin.

IN QUESTA invenzione tutto è al contrario: il mondo è dominato dalle lobby woke, LGBTQ, etc. I virus non esistono. La Russia non ha invaso l’Ucraina etc. Tutto questo è in sé inquietante. Ma non è tutto. Come ha fatto notare Slavoj Zizek, se il film di Lynch comincia col dire che i sogni sono per coloro che non sono abbastanza forti per affrontare la realtà, la fine della storia mostra come il sogno si riveli ancora più terrificante della realtà stessa. Le illusioni dei maschi bianchi non ci salveranno dalla loro frustrazione.

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