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L’ossimoro bio della Cina all’Expò

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SanaMente Il grande paese orientale sarà ospite a Milano nel secondo più grande spazio dopo quello della Germania

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 25 marzo 2015

Ospite alcuni giorni fa del MAO, Il Museo di Arte Orientale di Torino, per una conferenza, il professor Su Dan, direttore del Dipartimento di Architettura del Paesaggio presso la Tsinghua University di Pechino, aveva appena compiuto un sopralluogo nel padiglione cinese di Expo 2105. Il professor Su Dan è, infatti, il responsabile del progetto: 4590 metri quadri, il secondo spazio più grande dopo quello della Germania, quattro sezioni (Cielo, Uomo, Terra, Armonia) uniti dal filo conduttore Terra di speranza, cibo per la vita. Nonostante sia ormai divenuto un tormentone, parlando di Cina vale la pena ricordare il tema dell’Expo: Nutrire il pianeta, Energia per la vita. Un ossimoro, guardando a un paese i cui livelli di inquinamento sono terrificanti e tali da coinvolgere anche e pesantemente le campagne. Cioè l’agricoltura. L’abbandono dei campi per le città da parte dei contadini, problema enorme e sempre più impossibile da fronteggiare, rappresenta solo un aspetto di una tragedia che amplia ogni giorno le sue proporzioni e trova spietato riscontro nelle cifre.

Secondo l’agenzia di stampa Xinhua, il 40% dell’agricoltura nazionale è minacciato dall’inquinamento. Il funzionario governativo Wang Shiyuan, a fine 2013, ha ammesso che tre milioni e mezzo di ettari, il 2% dell’intera superficie coltivabile, sono inutilizzabili per la presenza di metalli pesanti e sostanze tossiche. Secondo molti scienziati la percentuale realistica ammonta a un quinto. L’industria ha riversato nei campi piombo, cadmio, pesticidi e altro ancora. Prova recente, la scoperta di riso contaminato dal cadmio e venduto nella città di Guangzhou. Il Ministero per l’Ambiente ha dovuto ammettere l’esistenza dei cosiddetti Villaggi del cancro, comunità che hanno subito gli effetti di sostanze chimiche prodotte in Cina e vietate in Occidente. Tra di esse il nonilfenolo, nell’acqua usata per lavare i panni, portatore di gravissime interferenze al sistema ormonale. A Milano con questo pesante bagaglio sulle spalle, la Cina dell’Expo intende parlare di tradizioni culturali, uso razionale delle risorse, sviluppo dell’agricoltura, finalizzati a produrre buon cibo per tutti, in un contesto di equilibrio tra uomo e ambiente.

Della conversazione con il professor Su Dan abbiamo scelto un passaggio che se da un lato evidenzia le radici contadine del tessuto sociale cinese, dall’altro mostra come la cosiddetta modernizzazione abbia reso tali radici prive di vita: «Sono nato in una cittadina satellite di una grande industria modello sovietico. Ci lavoravano operai, rimasti però contadini dentro. In tempo di semina e di raccolto, l’industria si bloccava perché tutti tornavano nei campi. Andò avanti così dagli anni ’50 agli anni ’80, fino a quando le riforme spinsero la gente dei campi verso le metropoli, nella speranza di riuscire a guadagnarsi da vivere. Non c’era altra scelta. Anche se ha portato con sé forti squilibri, che devono essere affrontati. Dal 2013 è cresciuta l’attenzione verso la sicurezza alimentare e quindi verso le terre coltivate. Si sta lavorando alla tracciabilità dei prodotti, che oggi non esiste. Grazie alla tracciabilità, il prezzo dei prodotti salirà, facendo del lavoro agricolo un’attività cui tornare. Da noi, comunque, il rapporto fra terra e agricoltura rimane un discorso complesso. Un pezzo di terra, se utilizzato a scopi industriali, vale molto di più. Credo che ci saranno sempre meno contadini. Ma quelli che continueranno a lavorare i campi vivranno meglio». Il presente e il futuro prossimo in Cina autorizzano qualche dubbio.

ldelsette@yahoo.it

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