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L’Oscar e i registi «fuori» dai loro paesi

L’Oscar e i registi «fuori» dai loro paesiPerfect Days, regia Wim Wenders

Maboroshi Wim Wenders è stato candidato dal Giappone nella cinquina dell'Academy per il miglior film straniero, ma non è la prima volta, in passato nel Sol Levante ci sono stati altri esempi, a cominciare da Akira Kurosawa con Dersu Uzala

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 9 febbraio 2024

Come è noto, Perfect Days, il film diretto da Wim Wenders in Giappone con protagonista Koji Yakusho, fa parte della cinquina di titoli che si contenderanno la statuetta come miglior film internazionale nella notte degli Oscar, il prossimo 10 marzo. Il lavoro rappresenterà il Giappone, essendo una produzione nipponica, in lingua giapponese e con attori del Sol Levante. La scelta dell’Eiren, l’associazione dei produttori cinematografici nipponici, di candidare il lungometraggio nella categoria come miglior film straniero ha sorpreso molti, ma non più di tanto in realtà, in primis Wenders stesso.

LA STORIA del cinema è costellata di esempi di registi impegnati «fuori» dal loro paese, per restare in Giappone, si ricordi L’isola della donna contesa (Anatahan), diretto nel 1953 da Josef von Sternberg, sarà il suo ultimo lavoro, prodotto dalla Daiwa e selezionato in concorso a Venezia nello stesso anno. Ma forse il caso più famoso è quello di Akira Kurosawa che nel 1976 si aggiudicò l’Oscar come miglior film straniero per il suo Dersu Uzala – Il piccolo uomo delle grandi pianure (1975), lungometraggio con produzione e attori sovietici e adattamento da un popolare volume di memorie.
Il film, oltre a essere un capolavoro riscoperto e rivalutato in anni recenti, si colloca in un particolare e difficile periodo nella carriera del regista giapponese, da cui però Kurosawa riuscì ad uscire iniziando il glorioso ultimo capitolo del suo percorso artistico.

Dopo Barbarossa nel 1965, l’ultima collaborazione con Toshiro Mifune, Kurosawa avrebbe dovuto dirigere le parti giapponesi di Tora! Tora! Tora!, ma fu allontanato dal progetto per divergenze con la produzione. Con lo stato dell’industria cinematografica in declino sotto i colpi della televisione, Kurosawa decise di produrre in maniera indipendente, attraverso cioè la sua casa di produzione Shiki no kai, fondata con altri tre grandi nomi del cinema dell’arcipelago come Keisuke Kinoshita, Masaki Kobayashi e Kon Ichikawa, Dodesukaden. Primo lungometraggio a colori per il regista, Dodesukaden uscì nelle sale nel 1970, ma a dispetto delle attese, si rivelò un fallimento di pubblico e di critica e gettò Kurosawa in una spirale di depressione. Il periodo nero culminò nel 22 dicembre 1971, quando Kurosawa tentò di togliersi la vita. Sopravvissuto e ripresosi, il giapponese ricevette nel 1973 un’offerta dalla Mosfil’m, lo studio sovietico gli propose di dirigere un film tratto da alcuni volumi dell’esploratore Vladimir Klavdievic Arsen’ev, specialmente dal libro di memorie Dersu Uzala, basato sugli incontri fra Arsen’ev e un cacciatore Nanai, volume che Kurosawa già conosceva.

NEL DICEMBRE del 1973, Kurosawa e altri cinque collaboratori, fra cui il direttore della fotografia Asakazu Nakai, si recarono nella taiga russa per cominciare le riprese.
Dersu Uzala rimane il solo film diretto da Kurosawa in 70 mm, un formato che gli permette di portare sullo schermo tutta la vastità, la bellezza e la crudeltà delle vertiginose distese siberiane. Quasi a voler ritornare ad un grado zero percettivo e visivo per purificarsi nella vastità dei paesaggi russi, in questo senso è un lavoro molto personale, Kurosawa osserva, assieme ai suoi due protagonisti, un mondo quasi lunare nella sua indifferenza verso i piccoli uomini che abitano la terra.
Come alcuni critici hanno fatto giustamente notare, si potrebbe definire quasi un film tardo-fordiano nel suo contrapporre la meraviglia e la vastità dei paesaggi naturali alle figure umane che al loro interno vi si perdono.

matteo.boscarol@gmail.com

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