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«Loro 1», il Cavaliere formato famiglia

«Loro 1», il Cavaliere formato famiglia

Al cinema La prima parte del film di Sorrentino su Berlusconi e il berlusconismo, una narrazione senza un punto di vista politico

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 24 aprile 2018

All’inizio c’è una pecorella stregata dai quiz di un simil Mike Bongiorno (Ugo Pagliai) e stecchita dalla pubblicità del salame. Poi la Roma cafonal stile Grande Bellezza, potenti, massime esistenziali che manco Osho – «È dura se non sai fare un cazzo» – feste,ragazze bellissime,tette, culi e puttanieri, politici e principi arabi, freaks, i palazzi del potere (o del piacere), animali che all’improvviso attraversano la notte, camion della monnezza che esplodono tra i Fori imperiali.

 

 

Invece del dandy disincantato Jep Gambardella, che quel mondo lo ha vissuto e ne narra i «segreti» con compiaciuto distacco, lo sguardo qui è quello di un outsider che vuole diventare protagonista, stanco di una provincia del sud Italia dove già traffica – una ragazza «Candida» per il politico affranto dalle emorroidi della moglie e l’appalto è ottenuto. Il padre si incazza – è onesto e lavoratore – la moglie è complice, e la ragazza con quel tatuaggio sul fondoschiena con la faccia del Cavaliere diventa un’illuminazione. Perché è di Silvio Berlusconi che si parla, e della «sua Italia» come sappiamo in Loro, il numero 1, in sala domani 24 – e il 2 il 10 maggio – anche se i cartelli iniziali ci dicono che «ogni riferimento è puramente casuale» e la citazione di Manganelli che «Tutto documentato, tutto arbitrario»ammicca a un ambiguo specchio di realtà-finzione. Non è del resto lo stesso re di Arcore un mago delle bugie in forma di verità? La merda se la pesti non è merda è terreno smosso, spiega al nipotino che mentre gli chiede se andrà in prigione, visto che in classe 12 compagni su 30 – la stessa percentuale dei sondaggi incalza il nonnetto – sono convinti che sia colpevole, gli fa notare che ha appena messo un piede sulla cacca.

 

Il gioco potrebbe andare avanti nel «chi è chi», niente di più facile riconoscere nel volgarotto Sergio Morra (Riccardo Scamarcio) e nella moglie Tamara (Euridice Axen, molto brava), french manicure e «ti piaccio perché sono troia» «Gianpi» Tarantini e la consorte Nicla Devenuto. O nel ministro subdolo che sfoggia camicie con gli elefantini, medita la fronda al capo – e impazzisce per Tamara, specie quando gli sventola sotto al naso le mutandine – «senti l’odore della fica?» – (Fabrizio Bentivoglio) un Bondi … Così come nella superba favorita del re dal nome esotico, Kira (Kasia Smutniak) che quando la chiama sul cellulare appare solo «Lui» Sabina Began detta «l’Ape regina». E ancora nella bionda fanciulla conseganta a Lui dal padre Noemi Letizia … Ma poco importa. Genericamente sono «Loro», la massa indistinta che ruota intorno al corpo del capo, quel «Lui» sovrano fuoricampo qui nei festini ma che ne è l’origine, il cuore, nel cui nome tutto si fa. «Loro»/«Lui», l’Italia tra il 2006 e il 2010 da quando Berlusconi viene sconfitto da Prodi, poi torna e cade di nuovo tra olgettine e corruzione.

 

Da Wolf of Wall Street – che a questo guarda Sorrentino per il suo Morra/Scamarcio ma senza l’amore che Scorsese ha per il suo personaggio – ai siparietti nel Villone sardo del Capo – che fanno tanto Casa Vianello – dove Lui (Toni Servillo)è chiuso in «rehab» per riconquistare la moglie a cui offre fiori vestito da odalisca. Lei, Veronica (Elena Sofia Ricci) è arrabbiata, legge Saramago, ai nipoti fa il teatrino delle marionette – più noioso di Raitre la televisione dei comunisti commenta Lui. Mentre intanto «Loro» nella villa di fronte organizzano party con pioggia di MDMA, più Spring Breakers (bello, bravissimo Luca Bigazzi alla fotografia) che bunga-bunga.

 

Lui/Loro un’alterità quasi rivendicata in questa prima parte (forse sarebbe stato meglio vedere tutto insieme) dove del «berlusconismo» Sorrentino sembra cercare l’immaginario, lo stesso che peraltro attraversa già i suoi film, al di là di Berlusconi stesso, simpatico, divertente pure quando svela il cinismo violento, romantico persino. Ma questa linea di demarcazione è anche il limite del film (vedremo la seconda parte appunto) e della sua visione di questo mondo sia quando allude che quando dice nomi&cognomi, realtà o finzione che sia. Perché Berlusconi è il berlusconismo, e «Loro» esistono in quella mutazione socio-politica-antropologica che ha preso piede con la sua presenza.

Che puttanieri, corrotti e traffichini ci sia sempre stati è una certezza, ma la spettacolarizzazione in cui l’italiano poteva riconoscersi è tutta sua, il resto, l’intimità dell’uomo, francamente è poco interessante anche perché Sorrentino (che ha scritto il film con Umberto Contarello) non si prende nemmeno il rischio esporsi nelle sue immaginazioni. In fondo a Berlusconi questo film piacerà: cosa di meglio che vedersi «rappresentato» fuori dalla politica, in una narrazione così simile a quelle spacciate su di sé nei suoi discorsi annacquando tra ratti romani e «metaforiche» presenze una materia che a distanza di tempo, ma sempre attuale, aveva bisogno invece di un punto di vista, di una consapevolezza «politica» che al regista appare del tutto estranea.

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