Lorenzo Pizzichemi, anomala e capricciosa, una nozione mai tematizzata della filosofia kantiana
Intervalli filosofici Lorenzo Pizzichemi si dedica alla valenza inedita del concetto di Uso in Kant: dal Mulino
Intervalli filosofici Lorenzo Pizzichemi si dedica alla valenza inedita del concetto di Uso in Kant: dal Mulino
C’è una nozione, o più semplicemente un termine, che ricorre in quasi tutti i testi di Kant e costituisce la struttura logica dei concetti più rilevanti della sua filosofia. Eppure non viene mai messo a tema: è questo il punto di partenza del saggio di Lorenzo Pizzichemi, L’uso di sé Il concetto di ‘uso’ in Kant e la ricerca del fondamento della filosofia trascendentale (Il Mulino, pp. 198, € 24,00).
Il primo e fondamentale contributo del libro risiede in una impresa di ricostruzione dettagliata e approfondita dell’ «uso» (Gebrauch) in Kant che, portando in superficie i suoi significati impliciti e spesso ignorati dagli interpreti, apre nuove prospettive nel campo della filosofia classica tedesca. In questa apertura interpretativa si situano anche alcuni altri autori imprescindibili della tradizione occidentale – da Aristotele a Freud, da Heidegger a Foucault; ma il vero appoggio teorico dell’impostazione di Pizzichemi si trova nei lavori recenti di Paolo Virno e Giorgio Agamben.
L’uso di sé si inscrive così in una corrente attuale della filosofia italiana, rappresentandone uno sviluppo originale: per un verso è una ricerca filosofica che propone la rilettura del progetto critico di Kant nella prospettiva, soprattutto, di Paolo Virno; per altro verso fornisce di questa prospettiva una considerazione logico-critica, attraverso il ritorno alle pagine del filosofo tedesco.
«Nozione fuggevole e capricciosa» – come la descrive Pizzichemi – l’uso assume nel sistema kantiano una valenza inedita. Quando parla dell’uso della ragione o dell’uso delle «categorie», cosa intende Kant? Come si può usare una facoltà conoscitiva? All’interno dell’impianto teorico kantiano la domanda sull’«uso» ne investe necessariamente la legittimità, evidenziandone i limiti. Ogni uso – di una facoltà, di un’idea, della propria vita – si divide pertanto in un «uso corretto» e un «uso scorretto»: è questa espressione di una dualità a costituire il nucleo della filosofia trascendentale. Ma ciò su cui insiste l’autore è il carattere cognitivamente ‘produttivo’ dell’uso nella misura in cui viene riferito a se stessi. L’uso è in primo luogo relativo alla relazione con sé, all’«uso di sé», attività riflessiva e pratica che costituisce la condizione umana.
La questione dell’uso rientra a pieno titolo in ciò che, nella proposta di Pizzichemi, va definito come la ricerca di un fondamento extra-teorico della filosofia trascendentale. A illustrare questo proposito, ci viene offerta una immagine-metafora: quella del fico sacro, un particolare albero che sembra avere le radici in alto e i rami piantati nel suolo, suggerendo che il fondamento della conoscenza non sta nascosto in un punto sotterraneo, ma si ramifica in varie direzioni come prassi umana libera e diversificata.
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