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L’«Orbanomics» e le facili misure populiste

L’«Orbanomics» e le facili misure populisteLa sede del parlamento ungherese sulla riva del Danubio a Budapest – Commons

Ungheria al voto Decisivo per l'economia del paese il taglio sui tassi praticato dalla Banca centrale nazionale

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 6 aprile 2014

Tra lo 0,2 e il 3% c’è una differenza molto grande. La prima è la stima tracciata lo scorso autunno dal Fondo monetario internazionale sulla crescita ungherese nel 2013. La seconda su cui il Pil magiaro s’è realmente attestato negli scorsi dodici mesi. Il primo ministro Viktor Orban non poteva chiedere di meglio, ai numeri. Questo scarto ha una valenza elettorale molto importante. Potrebbe fornire la marcia in più alla Fidesz, il partito di Orban. Sempre che ce ne sia bisogno, dato che le rilevazioni condotte di recente lo danno largamente trionfatore di questa tornata. Alcuni analisti predicono persino un nuovo sfondamento della soglia dei due terzi dei seggi parlamentari.

L’accelerata del Pil, a Budapest, dipende da tanti fattori. Uno è la ripresa dell’attività manifatturiera dei grandi gruppi industriali presenti nel paese. L’economia ungherese è fortemente dipendente dalla produzione di queste aziende e dall’export che realizzano, pari a oltre il 70% del Pil. È andato molto bene anche il settore agricolo, su cui il governo punta molto. Ci scommette anche Sandor Csany, il finanziere che controlla la maggioranza delle quote di Otp Bank, il principale istituto del paese. Qualche mese fa ha ceduto una fetta non proprio piccola del suo pacchetto e ha investito nel primario. Gli analisti, sulla base della prestazione scattante del 2013, stanno alzando le stime sul Pil di quest’anno e del 2015. In entrambi i casi dovrebbe superare il 2%. Standard & Poor’s, intanto, ha alzato l’outlook da negativo a stabile: un’altra nota positiva. L’elemento decisivo del galoppo magiaro è stata in ogni caso la politica di tagli sui tassi praticata dalla Banca centrale. Una serie continua di sforbiciate che li ha portati dal 7% dell’agosto del 2012 all’attuale 2,6%, il minimo storico. L’obiettivo è stato quello di tenere su i consumi e la fiducia, schiaffeggiati dalla crisi globale.

La Banca centrale è il perno principale della Orbanomics, che ha nello statalismo la parola più rilevante del lessico economico di questo governo. Orban, in questi quattro anni al potere, non ha esitato a mettere lo stato al centro dell’economia. Ha riacquistato alcuni asset nel settore energetico (i tedeschi stanno ritirandosi parzialmente dall’Europa centrale), ha fatto qualche movimento nel bancario e squadernato qualche tassa in più – anche abbastanza salata – nei confronti del capitale estero. Orban pensa che la transizione al libero mercato sia stata troppo frettolosa e che il paese abbia aperto le porte agli investitori stranieri con la sola filosofia di fare cassa. La sua idea è ridurre il peso di questi stessi investitori – benché Orban non disdegni affatto i flussi di denaro che arrivano a Budapest e dintorni – e ampliare il margine di manovra dello stato e della classe capitalistica e borghese dell’Ungheria.

Tutto questo si lega al rifiuto della ricetta austera propugnata da Bruxelles e dal Fmi. L’Ungheria, scoppiata la crisi del 2008, era ricorsa a prestiti di quest’ultimo. Orban non li ha rinegoziati e ha lubrificato la macchina del consenso con qualche misura paternalista a sostegno della popolazione (nei mesi scorsi sono state tagliate del 20% le bollette elettriche) e un po’ di grinta sulle opere pubbliche. Proprio alla vigilia di questo voto Orban ha inaugurato la quarta linea del metrò di Budapest. Messa così, sembrerebbe che Orbanomics sia un grosso successo. Non è proprio così.

Ci sono dei punti scivolosi. La baracca è ancora fragile e la politica del taglio dei tassi ripetuto non solo ha aiutato a coprire le crepe, ma secondo molti non è più sostenibile. La politica di riduzione degli stimoli della Fed all’economia americana ha affossato il fiorino, il cui valore è sceso non di poco. Avanti di questo passo la Banca centrale dovrà necessariamente calmarsi sui tassi. Ma se ne parlerà dopo il voto, ovviamente. Prima, invece, Orban ha fatto qualche promessa. Una riguarda i dividendi dei profitti delle imprese pubbliche: verranno ridistribuiti, ha annunciato il governo. L’altra cosa riguarda i mutui contratti in valuta estera. Parecchia gente c’ha rimesso. Orban afferma che le cose dovranno cambiare, logicamente a favore di proprietari di case e imprenditori.

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