Visioni

L’operaista Bohème in odore di ’68

L’operaista Bohème in odore di ’68La coppia Remigio/Cruz – foto Tabocchini

Musica Stasera ultima replica del capolavoro pucciniano allo Sferisterio nell'ambito del Macerata Opera Festival

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 7 agosto 2015

Scegliendo, nel 1893, il soggetto di Bohème Puccini pensava forse a un dramma contemporaneo, ma già nel film di Gallone (1952) a lui dedicato veniva preso in giro da una giovane sartina per il suo andare in giro, nel Quartiere Latino, a cercare le tracce di un mondo che da un pezzo non esisteva più, salvo poi lei morire di tisi, proprio come Mimì. Quando si svolgono, allora, queste Scene di vita di bohème? Murger raccoglie nel suo libro quadretti autobiografici vissuti negli anni Quaranta, che sono appunto gli anni in cui si svolgono gli sbalorditivi avvenimenti narrati da Balzac prima nelle Illusioni perdute e poi in Miseria e splendore delle cortigiane.

Ovviamente il mondo corrusco, sordido e smagliante di Balzac ha una potere evocativo che travalica di gran lunga le piccole vicende di cui ci parla Murger, e l’ambizione rovinosa di Lucien de Rubempré, che aspira anch’egli a diventare giornalista, è affatto ignota al mite Rodolfo, così come la donna che ama – già esperta cortigiana – sa dare ai suoi amanti un piacere sensuale del tutto estraneo al romanticismo di Mimì ma, alla fine le loro vite e i loro destini finiscono per somigliarsi, come se all’epoca scampo non ci fosse. L’Opera Festival dello Sferisterio (stasera l’ultima replica), riprendendo la regia di Leo Muscato già vista due anni fa, ne riconosce implicitamente il valore di rispetto della vicenda, ambientata in un ’68 «alternativo» nei primi due quadri, poi operaista nel far svolgere il terzo davanti a una fabbrica occupata, tra fuochi per riscaldarsi e cariche della polizia, in cui il gelo della sconfitta pervade anche l’anima dei due protagonisti, consapevoli di non avere un futuro.

Rispettabile la scelta registica, ma tutto si può dire dei personaggi dell’opera tranne che siano critici nei confronti del «sistema» e alla fine la trasposizione, fatta in nome delle eterne pulsioni libertarie della giovinezza, mostra la corda. In questa edizione alla guida dell’orchestra regionale delle Marche è stato chiamato David Crescenzi il quale ha diretto ‘a ciglio asciutto’, senza indugi ma con una sensibilità per i tempi scenici ammirevole, come ammirevole è stato il suono morbido e compatto che ha caratterizzato l’orchestra anche nei momenti più concitati.

La maggiore prudenza dei tempi nell’affollatissimo e complicato secondo quadro e il rallentamento nel finale, che va maggiormente a scapito dell’incisività della scrittura pucciniana, non inficiano un risultato di rilievo assoluto. I cantanti erano dominati dalla classe di Carmela Remigio che, pur con qualche incertezza nell’aria di sortita, ha poi cantato con la sottigliezza e la classe vocale che le conosciamo, il Rodolfo di Arturo Chacón-Cruz era impetuoso quanto bastava, mentre la squillante Larissa Alice Wissel è ancora lontana dalla messa a fuoco del suo personaggio, Musetta; giovani e «in parte» anche gli altri cantanti, ma in particolare il coro lirico marchigiano che ha avuto, come nelle altre opere in programma allo Sferisterio, un ruolo scenicamente e musicalmente fondamentale.

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