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L’opera in musica una rivoluzione per le élites

L’opera in musica una rivoluzione per le élites

Improvvisi Inventario delle opere che hanno mutato i paradigmi della musica d’arte: puntata 7

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 28 luglio 2024

Lorenzo Bianconi sostiene che il teatro musicale è una strana creatura, alla quale è toccata la sorte di nascere due volte: la prima il 6 ottobre 1600, a Firenze, con l’Euridice di Ottavio Rinuccini e Jacopo Peri, la seconda in un imprecisato giorno di Carnevale del 1637, a Venezia, con l’Andromeda di Benedetto Ferrari e Francesco Manelli. Per prima è venuta alla luce la cosiddetta «opera aristocratica», quasi quarant’anni dopo è toccato invece a quella lui stesso definisce «opera impresariale».

Non proprio due gemelle, dunque, bensì due sorelle relativamente vicine nel tempo. In realtà se consideriamo la lunga serie dei cartoni preparatori che hanno condotto alla genesi dello «spettacolo più bello del mondo» le nascite potrebbero essere almeno quattro o cinque. Gli Intermedi de La Pellegrina del 1589, in cui i lembi del teatro drammatico e del madrigale si avvicinano l’uno all’altro, la prassi del madrigale rappresentativo di Vecchi e Banchieri, in cui recitano cantando, a parti condivise, veri e propri personaggi, l’esperimento, forse non del tutto isolato, della Dafne dei medesimi Rinuccini e Peri messa in scena a Firenze nel 1598: sono tutti sintomi inequivocabili della irresistibile tendenza verso la monodia teatrale che attraversa la cultura neoplatonica fiorentina nella stagione del Manierismo. Non c’è dubbio, però, che l’Euridice fiorentina abbia segnato uno spartiacque innegabile, e dalle conseguenze non ancora spente, tra un prima e un dopo: un prima in cui era lecito e ammissibile raccontare una storia attraverso la parola parlata e un dopo in cui diventa altrettanto plausibile, per quanto paradossale, raccontare quella medesima storia ricorrendo alla parola cantata. Ma che tipo di rivoluzione è stata l’invenzione del «dramma per musica»?

E soprattutto: fu vera rivoluzione? Per risponde a queste due domande occorre disegnare due cornici, una inscritta dentro l’altra: all’esterno il clima culturale della Firenze del tardo Cinquecento, all’interno la specialissima occasione in cui l’Euridice nasce al mondo. Il primo dubbio è dato dal fatto che la nascita di quest’opera è figlia di un inganno o, se vogliamo utilizzare un termine più forte, di una menzogna. La convinzione generalmente diffusa nell’ambiente letterario e musicale fiorentino, sostenuta con false argomentazioni da Vincenzo Galilei, è infatti che la tragedia attica, modello teatrale insuperabile per l’estetica del tempo, fosse cantata dall’inizio alla fine. Che cioè Parodo, Stasimi, Episodi ed Exodus fossero interamente intonati da voci cantanti e non recitanti. I moderni altro non dovevano fare, quindi, che imitare gli antichi padri greci. Ancora non si sapeva, o si fingeva di non sapere, che in realtà solo Parodo e Stasimi, ossia gli episodi corali della tragedia, venivano effettivamente cantati. Sollevano perplessità ancora più spinose le occorrenze pratiche in cui l’Euridice viene rappresentata. L’occasione è un tipico matrimonio di interesse, combinato per ragioni politico-economiche, tra Maria de’Medici ed Enrico IV, re di Francia.

La festa di nozze, celebrata «in contumacia» per l’assenza dello sposo, troppo impegnato negli affari di stato per partecipare al proprio matrimonio, è comunque sontuosa e dura una settimana: il culmine è rappresentato, il 9 ottobre 1600, dagli «Intermedi» composti da Giulio Caccini per Il rapimento di Cefalo di Gabriello Chiabrera, nonché dal leggendario banchetto nuziale del 5 ottobre a Palazzo Vecchio. Alla Euridice, che a tutt’oggi rimane la prima opera in musica interamente cantata, viene riservata, nel pomeriggio del 6 ottobre, una piccola sala in Palazzo Pitti, la Sala Bianca, alla presenza di non più di duecento sceltissimi invitati. Le cronache del tempo, prodighe di descrizioni per gli altri memorabili avvenimenti, non se ne accorgono nemmeno e della «prima» ci restano solo due partiture, di due autori diversi. La nascita dell’opera in musica è dunque, sì, una rivoluzione, ma una rivoluzione d’élite, riservata all’aristocrazia fiorentina. E del tutto ignorata persino dal Re di Francia.

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