Il Metal contrinua a prolungarsi nel corso dei decenni con una sua obsolescenza grandiosa, superando i rovesci delle tendenze e il mutare schizofrenico delle mode, adattandosi, mutando, rinnegandosi o restando uguale a se stesso con una bestiale ostinazione. Tuttavia sarà infine il tempo a negare la sua vitalità rock, perché le grandi band sopravvissute, quelle che ancora oggi fanno concerti e producono nuovi dischi, stanno invecchiando e i nuovi modelli della distribuzione e dell’industria musicale rendono più ostico il sorgere e l’affermarsi di nuovi e giovani musicisti, affogati negli oceani dello streaming che li annulla o li occulta, trasformando l’attività musicale in una fatica infeconda che promuove la rinuncia più che la volontà di affermazione. Così il quarto album dei Witherfall intitolato Sounds of the Forgotten non può che alimentare una speranza per il futuro metallaro. Si tratta di una band di Los Angeles che raccoglie l’eredità difforme e diversa di band come i Sanctuary e quindi i Nevermore (Marco Donà su Truemetal coglie con acutezza le corrispondenze con i toni e i temi del gruppo del compianto Warrel Dane), dei Mercyful Fate e persino degli Helloween talvolta, ma non in un gioco di citazione o di imitazione, bensì come riferimento colto e interiorizzato ad un «classicismo», un tappeto sul quale produrre una propria idea di Heavy Metal.

LA VOCE di Joseph Michael riassume in maniera eccezionale le radici dei Witherfall e la loro unicità, dimostrando una capacità straordinaria di cantare in più stili e registri, integrandosi ai virtuosismi mai fini a se stessi degli altri musicisti. Così come gli album precedenti, anche Sounds of the Forgotten risulta lugubre e dolente, a tratti elegiaco in una maniera sorprendente mentre si dilunga in lunghissime, tristi e melodiche ballate sempre destinate ad essere interrotte da una rabbia assordante e disperata.
Composto da dieci canzoni per quasi un’ora di musica, Sounds of the Forgotten instaura con chi l’ascolta un dialogo così emozionale che è necessario astrarsi e ascoltare con una distanza critica onde evitare il coinvolgimento estremo alimentato dai testi, dai timbri, dai ritmi e dalle melodie, e cogliere così il rigore tecnico e l’architettura sconvolgente dei pezzi. Ma è davvero difficile ascoltare questo album da lontano, non smarrirsi tra i suoi esaltanti e desolanti panorami sonori.
Il nuovo lavoro dei Witherfall è uno dei migliori dischi degli ultimi anni, un’opera d’arte del metallo pesante che verrà ricordata e celebrata tra i capolavori del genere e non solo.