Un report delle Nazioni unite sui diritti umani in Ucraina è impietoso: il paese è dilaniato dalla guerra, da scontri feroci, violenze quotidiane. Una situazione all’interno della quale sguazzano criminali di ogni sorta, da una parte e dall’altra. Ci sono anche i numeri totali delle vittime riscontrate: almeno 356 morti, di cui 257 civili, 14 bambini. Un conflitto dimenticato, ormai superato dalle questione geopolitiche, del gas, di incontri e cene, ma nel quale le persone continuano a soffrire, a scappare – chi può – o tentare di sopravvivere.

Il report si concentra anche sul rogo di Odessa, nel quale sono morte almeno 48 persone. Un evento tragico, finito nell’oblio, perché fin da subito è apparsa chiara la responsabilità degli «eroi» di Majdan, ovvero i gruppi paramilitari neonazisti di Settore Destro. Il rapporto sottolinea la loro presenza, armata, nei pressi del Palazzo del Sindacato a cui poco dopo sarebbe stato dato fuoco. Le parole del report confermano le ricostruzioni subito dopo i fatti provenienti dai testimoni: un accampamento di pacifici sostenitori dell’indipendenza da Kiev del Donbass, aggrediti e costretti a rintanarsi nell’edificio dei sindacati, che diventerà poco dopo una trappola mortale. All’epoca gli eventi erano stati minimizzati.

Chi sosteneva ci fosse lo zampino dei paramilitari di Settore Destro, veniva additato come una sorta di visionario novecentesco, ancora alla ricerca dei fascisti nel mondo che ha decretato la fine delle ideologie.
Ora però a centrare l’attenzione su Pravyi Sektor sono le Nazioni unite. È un segnale talmente rilevante, che perfino Poroshenko sembra voler correre spedito verso un repulisti nelle file del suo governo. Decisioni concomitanti con l’apertura più seria, da quando è stato eletto, nei confronti dei filorussi e di chi spera che al più presto arrivi un vero «cessate il fuoco». Il neo presidente ucraino ha infatti specificato ieri, di essere disposto a chiudere la guerra: «Il piano – ha detto – parte col mio ordine di cessare il fuoco in modo unilaterale.

Ci aspettiamo poi in tempi brevi di ottenere il sostegno al piano di pace presidenziale da parte di tutti i partecipanti agli avvenimenti nel Donbass». Il presidente ucraino si è quindi detto disposto a «offrire un’amnistia a coloro che depongono le armi e non hanno commesso gravi reati» e a «offrire un corridoio per dare ai mercenari la possibilità di lasciare il territorio del Paese senza armi». I separatisti dovranno però liberare gli ostaggi e sgomberare i palazzi occupati. Poroshenko ha infine precisato che il suo piano di pace prevede 14 passi politici che saranno resi noti nei prossimi giorni.

Su tutto questo devono aver influito e non poco alcuni eventi: innanzitutto la telefonata di due giorni fa con Putin. Al Cremlino infatti hanno confermato che, durante il colloquio telefonico, Poroshenko e Putin hanno «toccato» la questione di un possibile cessate il fuoco. Come ha spiegato Poroshenko, il cessate il fuoco sarà il primo passo di un processo di pace che include anche emendamenti costituzionali che daranno più potere alle regioni. In secondo luogo il paese è al tracollo e solo un passo in avanti, oltre la guerra, sembra poter garantire un futuro.

La risposta dei filorussi è stata, ad ora, negativa: il leader dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk Denis Pushilin ha specificato che «il nostro interesse è che gli occupanti lascino il nostro territorio. Loro smettono di spararci contro, noi consegniamo le armi e loro ci catturano disarmati. Questa è la logica di Kiev». Infine da sottolineare il rimpasto in atto. Poroshenko in modo energico sta cominciando a piazzare le proprie persone nelle posizioni chiave, sfruttando anche alcuni eventi. Il ministro degli esteri che aveva definito «testa di cazzo» Putin è stato estromesso ieri e sostituito da un membro del partito «Patria» di Tymoshenko (mozione richiesta al Parlamento di Kiev).

Dopo il report delle Nazioni Unite non è un caso la sostituzione del procuratore generale, un membro del gruppo nazista di Svoboda. Infine Poroshenko ha proposto di sollevare Stepan Kubiv dall’incarico di governatore della banca centrale, sostituendolo con Valeriya Gontareva, avvezza al mondo finanziario e considerata la persona ideale per negoziare con il Fondo Monetario internazionale.