Consideriamo un dipinto di Alberto Savinio datato all’anno 1928, Dans la forêt (olio su tela, cm 65×81, in collezione privata a Milano). Dunque concentriamoci ad osservare e, con gli occhi, inoltriamoci dans la forêt, nella foresta di Savinio.

E intanto, per coglierne la peculiare ‘temperie vegetale’ sarà bene richiamare alla mente certe incisioni ottocentesche. Meglio ancora: certe oleografie, in specie di esotici paesaggi, dove la stampa cromolitografica conferiva all’immagine un che di lucido, proprio quel lustro che appartiene ad alcunché, appunto, di oleoso.
Come che sia, teniamoci alle consunte oleografie che si offrono alla nostra percezione col mantenere agli inchiostri una illusione di spessore, un effetto di rilievo.

E può essere altrettanto opportuno tenere presenti anche certe riproduzioni fotografiche poste fuori testo, che corredavano certi di libri di viaggi cento e più anni fa. Così come gli atlanti illustrati di allora, dove apparivano fiumi dal corso maestoso e le prode fitte di piante lussureggianti. Baobab immensi, rami e fronde che coprono il cielo della savana, mentre nella loro ombra stanno indigeni minuscoli armati di primitive lance. Vedute di paesi lontani impresse su quelle pagine in color seppia o in marrone scuro. Ecco, di quel medesimo marrone scuro è la foresta che Savinio ha delineato dipingendo in monocromia il suo scenario boschivo. Un terreno fitto di felci spampanate a terra. Tra le felci crescono, diresti svettano, numerosi steli: gambi grassi più che fusti gonfi, simili a carnosi asparagi.

Sbocciano in cima in forma di ghianda, o di pigna. Adagiati in questo uniforme marrone tipografico, alcuni sgargianti oggetti. Da dove giungono e chi li ha abbandonati? Una stecca, ultima parte residua di un pallottoliere rotto e smontato, nella quale sono infilate ancora le palline multicolori. Un angolo di cornice verniciato di rosso porpora. Una mezzaluna arancione. Un bastoncino cinabro che si sfrangia in testa nell’intaglio d’una palmetta variopinta. Due archetti a tutto sesto, l’uno rosa, l’altro celeste. Una ruota, quasi una torta, composta di sei spicchi di diverse tinte e un’assicella dentata.

Un paio di mattonelle ed una terza, in equilibrio precario, sovrapposte. Qualche biglia. E una scatolina chiara dai bordi verdi. La luce, che ristagna smorzata nei toni d’argilla della vegetazione, si accende smagliante nel vivido bagliore delle verniciate superfici lignee di questi geometrici oggetti. Essi son disposti a formare un accumulo e, se non assommano una costruzione stabile, mostrano tuttavia la virtualità di architetture possibili. Un edificio nella foresta tirato su a mezzo, i cui elementi non sono stati assemblati? No. Ad osservare attentamente non si tratta di elementi componibili.

Al contrario. Ciascuno risulta un modulo a sé stante, compiuto nella sua forma, inutilizzabile dunque come addentellato per incastri costruttivi ulteriori. Invece un ‘incastro costruttivo’ abbiamo noi, propriamente, davanti agli occhi: la composizione coerente realizzata da Savinio. Infatti è solo una apparente incongruità quella d’aver egli accostato i vivaci legnetti colorati della stanza dei giochi alle piante terragnole cresciute negli atlanti geografici. Savinio opera a comporre lontananze diverse di luoghi e di tempi, e ne imbastisce un intreccio a più fili, compreso l’effetto perturbante dello ‘spiazzamento’ e, corretto con una dose ironica, il gusto malinconico della nostalgia. Sono ricongiunti in immagine i giocattoli dell’infanzia e le illustrazioni libresche così come lo erano un tempo, quando si trovavano nello stesso luogo appoggiati sul medesimo scaffale, il libro di viaggi ed il pallottoliere, la scatola delle costruzioni di legno e l’atlante.

Quando si dice le figure molteplici che possono assumere le dimensioni dello spazio e del tempo! E come possano declinarsi per via di figure secondo interrelazioni combinate e istituendo congiunzioni sorprendenti e attonite simultaneamente! A riprova che complessi ordini teoretici possano mostrarsi (o nascondersi) secondo studiate formulazioni d’ordine figurale. Per allusioni, per rimandi. O per attiguità. O per distanziamenti. O per coincidenze impreviste e separazioni forzose.