L’onda irresistibile del made in Italy
Festival Si è chiuso Umbria Jazz, un’edizione di passaggio soprattutto per la crisi economca degli enti locali e degli sponsor. In attesa dell'appuntamento winter di fine anno
Festival Si è chiuso Umbria Jazz, un’edizione di passaggio soprattutto per la crisi economca degli enti locali e degli sponsor. In attesa dell'appuntamento winter di fine anno
Giudicare una manifestazione complessa come Umbria Jazz (che si è chiusa lo scorso 20) dalla sua ultima giornata non è possibile: la si può, tuttavia, raccontare mettendone in luce alcuni aspetti. Verso le 12.30 dell’ultimo giorno, nelle sale del sontuoso hotel Brufani, si è tenuta la conferenza stampa conclusiva in cui i vari «attori» della veterana rassegna (Fondazione Umbria Jazz, Associazione Umbria Jazz, Regione, Provincia e Comune nelle vesti del neoeletto sindaco di centrodestra) hanno parlato del presente e del futuro. I dati parlano di 30mila spettatori paganti per circa 800mila euro di incasso (biglietti e merchandising); cinquecento gli artisti coinvolti per complessivi duecento concerti. L’avvio della manifestazione è stato funestato dal maltempo e dalla «coda» dei mondiali di calcio ma i recital da tutto esaurito (al teatro Morlacchi) hanno riguardato Paolo Fresu, John Scofield, Roy Hargrove e gli Snarky Puppy. Il grande spazio dell’arena S.Giuliana si è riempito solo per il doppio concerto di Natalie Cole e Fiorella Mannoia (con Danilo Rea e Fabrizio Bosso) ed i Roots (per la «hip hop and soul night»).
In definitiva quella del 2014 sembra un’edizione di transizione sia per la difficoltà degli enti locali di sostenere la rassegna come in passato (lo fa e farà la Regione mentre il futuro della Provincia come in tutta Italia è incerto) sia per la ricerca di sponsor (in calo). In questo senso la Fondazione Umbria Jazz e l’agenzia Sedicieventi di Eugenio Guarducci (patron di Eurochocolate) si sono alleate per andare a caccia di soldi privati; Umbria Jazz sarà presente in autunno in Sudafrica con i Funk Off nell’ambito di una missione di imprenditori umbri e si è parlato di rapporti con la Cina alla luce dell’Expo 2015, con contatti già avviati tra Regione Umbria e lo stato orientale in cui il «brand» di Umbria Jazz risulta apprezzato. E qualche voce critica si è levata anche sulle scelte artistiche.
Mentre di tutto questo si parlava tra addetti ai lavori, a palazzo della Penna, centro di cultura contemporanea, si concludevano i concerti organizzati da Young Jazz con il solo del sassofonista Colin Stetson. Un centinaio di giovani stipati hanno assistito con entusiasmo alla solo performance del musicista americano dalla singolare poetica: suona sax contrabbasso e l’alto potentemente microfonati e, con una tecnica prodigiosa, produce in fiato continuo un flusso sonoro spesso tripartito. Arpeggi, armonici che disegnano la melodia e ritmi ottenuti percuotendo le chiavi generano una musica totale e devastante che ha il suono di Evan Parker e Peter Brotzmann ma disegno e atmosfera rock. Travolgente.
Dopo la pausa pranzo – con la città sempre in fermento tra artisti di strada, mercatini e «struscio» collettivo per corso Vannucci – la Galleria Nazionale dell’Umbria (nell’imponente sala Podiani) ha ospitato il convegno Per gli Stati Generali del Jazz italiano.
Pensando alla serie di provvedimenti annunciati per questa musica nella sede del Mibact dal ministro Franceschini l’11 giugno scorso, l’incontro perugino rappresenta un altro momento simbolico forte. Dopo un breve saluto di Carlo Pagnotta, direttore artistico di Umbria Jazz, coordinati da Marco Molendini hanno preso la parola Ada Montellanico (presidente dell’associazione dei musicisti MIDJ), Gianni Pini (I-Jazz), Paolo Damiani (che ha parlato del jazz nei conservatori in quanto direttore del dipartimento jazz a Santa Cecilia), Battista Tofoni (Europe Jazz Network). E poi Paolo Fresu, Giovanni Serrazanetti (del locale bolognese Cantina Bentivoglio) e Marco Valente (in rappresentanza di un nascente pool di quaranta etichette indipendenti).
I diversi interventi hanno messo a fuoco la situazione attuale, con il jazz italiano che inizia ad avere i riconoscimenti istituzionali che merita da decenni (a cominciare da un fondo di 500mila euro del Mibact per il 2015) per la sua creatività ed «eccellenza», ma anche con una pesante eredità di problemi (dalla Siae alla musica live) tutti da risolvere con urgenza.
Chi avesse dubbi sul jazz italiano poteva andare nel pomeriggio al teatro Morlacchi dove la brillante Dino e Franco Piana Jazz Orchestra (con ospiti Enrico Rava, Roberto Gatto, Enrico Pieranunzi e Danilo Rea) ha reso un bell’omaggio ad Armando Trovajoli ed alle sue musiche da film, così intimamente intrise di jazz. La serata conclusiva all’arena S.Giuliana – via via riempitasi si pubblico – è stata una «vocal night»: aperta dagli straordinari Take Six – gruppo a cappella afroamericano di valore assoluto – ha visto esibirsi a seguire un Al Jarreau ancora valido e l’applauditissimo set di Mario Biondi. Le luci si riaccenderanno il 27 dicembre ad Orvieto per l’edizione «winter» del Festival.
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