L’onda dell’est al Trieste Film Festival
Cinema L’ungherese «The Notebook» di Janos Szasz e il kazako «Harmony Lessons» di Emir Baigazin in concorso
Cinema L’ungherese «The Notebook» di Janos Szasz e il kazako «Harmony Lessons» di Emir Baigazin in concorso
Il quarto di secolo del Trieste Film Festival nel pieno dell’anno d’oro del cinema targato Friuli Venezia Giulia. Una doppia celebrazione, naturalmente senza tappeti rossi e senza grancassa, che porta a Trieste, fino a domani (www.triestefilmfestival.it), buona parte del meglio del cinema dell’Europa centro orientale, da sempre territorio d’indagine della rassegna nata come Alpe Adria. E sempre di più gli autori, i produttori, i distributori e gli organizzatori culturali attenti alle nuove dinamiche, interessati a esperienze produttive diverse e aperti al mercato internazionale.
Non quello delle grandi produzioni, ma di una rete di appuntamenti medi e piccoli che intelligentemente si alleano e coordinano. È il segreto anche del «sistema Friuli», una realtà sempre più forte e visibile, fatta di festival (Giornate del cinema muto a Pordenone, Far East a Udine e altri), sale, produzioni, critici e operatori culturali, distribuzioni in crescita (Tucker) e buoni film. Dalla commedia rivelazione Zoran il mio nipote scemo di Matteo Oleotto a Tir di Alberto Fasulo, vincitore al Festival di Roma e nelle sale da fine febbraio, il cinema di quest’area si sta facendo conoscere. È il risultato di un percorso lungo, fatto di molte realtà, di mosse magari non eclatanti, di investimenti regionali (nella Film Commission, nel Fondo per l’audiovisivo e nelle diverse manifestazioni) ma anche di spirito di collaborazione superando i piccoli interessi e di crescita condividendo le esperienze compiute nei diversi settori. Un modello con caratteristiche originali, ma anche con elementi esportabili altrove, come emerso in un’interessante tavola rotonda.
Il Film Festival, abbandonate almeno temporaneamente le grandi retrospettive su registi o cinematografie dell’est che l’avevano reso importante nei primi decenni, ha trovato una nuova dimensione di festival cittadino con sale sempre affollate (la Tripcovich tiene mille persone) ma anche di luogo d’incontro tra addetti ai lavori di tutta Europa. Le masterclass per gli allievi delle scuole di cinema, il quarto When East Meets West con i progetti per nuovi film da 29 Paesi e il Premio Corso Salani per una produzione italiana a basso budget sono alcune delle tante iniziative.
Rispetto agli anni passati, il Trieste FF dura un giorno in meno per ragioni di budget. «È il più ridotto da parecchi anni a questa parte – spiega la presidente Cristina Sain – anche perché la Regione ha dovuto ridurre i contributi a tutte le manifestazioni culturali. Per l’anno prossimo abbiamo avuto garanzie che torneremo ai livelli precedenti e speriamo di poter aggiungere le repliche dei film che ora non possiamo permetterci. La Regione è il nostro sostenitore principale, mentre il ministero ci dà solo 5 mila euro».
Il programma di quest’anno è molto bello, con opere magari già passate in altri festival (Berlino e Locarno), ma di ottimo livello, che soddisfano il pubblico cittadino e valorizzano pellicole non certo commerciali. Come il georgiano In Bloom di Nana Ekvtimishvili e Simon Gross, uno dei migliori esordi del 2013, e Un episodio nella vita di un raccoglitore di ferro di Danis Tanovic, due premi (Orso d’argento e migliore attore) alla Berlinale 2013 e acquistato da Rai Cinema. La storia vera, asciutta e insieme commovente, intrisa di Neorealismo (i protagonisti della vicenda reale si sono prestati a rimettere in scena la loro vita), di una donna rom priva di assistenza sanitaria che ha un aborto spontaneo e del marito che tenta in tutti i modi di trovare l’ingente cifra necessaria a pagare le cure. Nel concorso di otto titoli in prima italiana l’ungherese Il grande quaderno – The Notebook di Janos Szasz, che uscirà in Italia a marzo per Academy Two e che, come Tanovic, era tra i nove preselezionati per l’Oscar al miglior film straniero. Due fratelli gemelli lasciati dai genitori alla nonna in campagna durante la Seconda guerra mondiale e tratto dal romanzo di Agota Kristof della Trilogia della città di K. Una storia forte e d’impatto, toccante, sulla voglia di sopravvivere dei ragazzi, una nonna meno «strega» di quel che sembra, personaggi non banali, scene di quotidiano collaborazionismo con i nazisti, ma con una regia forse troppo impegnata a strafare e non del tutto convincente.
L’altro favorito per la vittoria, assegnata dal voto del pubblico in sala, è il notevole kazako Harmony Lessons di Emir Baigazin, già premiato a Berlino. Merita il russo Styd – Shame di Jusup Razykov, con i tormenti della moglie di sommergibilista sola sotto la neve della penisola di Kola, tra navi bloccate tra le colline, renne regalate alle partorienti e potenti immagini dell’aurora boreale che sembrano un effetto speciale. «È un film che ha avuto vita difficile in Russia, perché da noi non è facile raccontare la realtà. Per fortuna ci sono i festival» ha detto il produttore Vladimir Malgsev.
Avranno una distribuzione italiana pure la bella commedia croata Scherzi da prete – The Priest’s Children di Vinko Bresan e Walesa, Man Of Hope di Andrzej Wajda, che domani chiude il festival.
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