«Il sogno di Pinuccio Tatarella di un grande partito conservatore di massa, leader di una destra europea capace di tornare al potere, sta diventando realtà», spiega suo nipote Fabrizio salendo sul palco allestito nella sala congressi dell’Hotel Quirinale a Roma dove da venerdì e fino a stamattina si sono riuniti i Conservatori europei su invito del Movimento Nazione Futura (inoltrato quando ancora non era chiaro se una probabile vittoria della destra avrebbe incoronato Giorgia Meloni o Matteo Salvini). Dopo la svolta di Fiuggi, la «data storica del 25 settembre» è una nuova pietra miliare sulla strada – perseguita ormai da trent’anni – di una «contro-egemonia culturale» di destra che utilizzi a questo fine la lezione gramsciana.

E infatti nello store allestito all’ingresso, tra i tanti titoli della casa editrice Giubilei Regnani molti dei quali firmati da Francesco Giubilei, presidente di Nazione Futura e della Fondazione Tatarella, fa capolino anche qualche testo di Antonio Gramsci (e una biografia di Rino Gaetano). I 61 interventi che nella tre giorni di «Italian Conservatism» si sono succeduti da quei microfoni (tre donne, gli altri tutti uomini, appartenenti sia al gruppo europeo Ecr di Fratelli d’Italia che all’Enf della Lega e di Le Pen) hanno infatti l’ambizione di rappresentare, come dice lo stesso Giubilei aprendo i lavori, il mondo «della destra istituzionale», «non estremista, populista o complottista come piace alla sinistra descriverci», e «al tempo stesso aperta al dialogo e al confronto».

CON CHI lo spiega meglio Jaime Nogueira Pinto, politologo e industriale portoghese considerato in patria «il grande padre dell’estrema destra post salazarista», che ammette: «Bisogna discutere, ma non posso parlare con le persone che non hanno idea di cosa fosse il fascismo». Istituzioni e valori insieme: è questa «buona sintesi» che ha permesso a Giorgia Meloni di vincere le elezioni, «fedele ai valori ma anche capace di adattarsi alle possibilità reali».

I VALORI «sui quali non si transige» sono quelli di sempre: dall’Europa delle nazioni («e del Vaticano e di Versailles, non solo dei burocrati e dei giornalisti», per dirla con le parole di Jorge Buxadé Villalba, Vox), all’identità che «è stata creata nei campi di battaglia» e che «non è omogeneità ma è ricchezza» solo se affonda le radici nella medesima storia, nelle medesima cultura. «Non si può festeggiare il Ramadan e la resurrezione di Cristo, o l’uno o l’altro, altrimenti non abbiamo più identità», si infervora l’europarlamentare catalano di Ecr. Dal sovranismo («solo nella nazione c’è solidarietà, il luogo dove l’essere umano diventa essere storico»), all’«autodifesa nazionale che è sotto attacco» del globalismo. Dalla «responsabilità democratica, che vuol dire portare al potere persone elette dal popolo», come sottolineano sia Raffaele Fitto, co-presidente del gruppo Ecr ed entrato pure nel toto ministri, che l’ungherese Balázs Hidveghi, fino alle battaglie culturali («oggi le rivoluzioni partono dalle menti, non dalle piazze, per questo dobbiamo pensare alle menti delle persone, come ha fatto la sinistra, dobbiamo imparare a usare le parole», esorta Pinto).

VALORI CHE NECESSITANO della famiglia, per essere trasmessi. E dunque: sostegni per combattere l’«inverno demografico» – ma anche «l’idolatria fanatica del sesso e del denaro» (Villalba) -, battaglie contro «la propaganda di genere» («Bisogna incoraggiare le figlie a diventare donne e i figli uomini», è la ricetta dell’ungherese Balázs Orbán, direttore politico ma non parente del premier Victor Orbán) e «politiche economiche liberali non assistenzialiste, in difesa delle imprese ma anche dei lavoratori». Dell’aborto invece non se ne parla. Un must, va da sé, è il contenimento dell’immigrazione («le politiche dell’Ue non tentano neppure di servire i popoli europei e infatti la Corte Ue continua a condannare l’Ungheria per la difesa delle proprie frontiere», protesta Orbán), ma nell’agenda entrano anche le politiche ambientali «post ideologiche» («Vogliamo difendere l’ambiente con l’uomo dentro», ha sintetizzato ieri la stessa Meloni a qualche chilometro di distanza dall’Hotel Quirinale).

SULLA GUERRA DI PUTIN all’Ucraina tutti d’accordo: «Mosca è l’aggressore, non c’è dubbio», ma il problema è che «le nostre famiglie europee stanno pagando i costi economici della guerra e delle sanzioni», perciò, afferma Orbán, «dobbiamo fare il possibile per porre fine a questa guerra e iniziare i negoziati». Lo ripetono in tanti, tutti d’accordo anche sul tetto Ue al prezzo del gas, «nell’interesse nazionale», dice Fitto. E poco importa se l’assessore piemontese di Fd’I Maurizio Marrone è stato citato recentemente sui giornali italiani come colui che ha aperto il primo ufficio di rappresentanza della Repubblica separatista di Donetsk e per essere stato tra gli osservatori italiani del referendum farsa di Putin nei territori annessi. D’altronde, «il conservatorismo – come dice Balázs Orbán – è più un istinto che un’idea».