Lombroso, aneddoti e fede positivista
Alias Domenica

Lombroso, aneddoti e fede positivista

Charles Filiger, «Le Solitaire», 1889-1890. Lombroso giudica il pittore francese alla stregua degli altri simbolisti dei Rosa Croce: casi in cui «il mattoide prevale sul genio e sulla pazzia»

Grandi opere La straordinaria varietà degli interessi di Cesare Lombroso, dalle gergalità ai tatuaggi dei carcerati alla grafologia allo spiritismo: «L’amore nei pazzi e altri scritti», nei Millenni Einaudi

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 11 dicembre 2022

Di Alfred Jarry, l’indimenticabile creatore di Ubu, si conosce il culto per la bicicletta: potrebbe bastare, questo, per classificarlo come un caso di «ebefrenia ciclistica»? A Cesare Lombroso forse sì. Sotto questa curiosa denominazione, in Delitti vecchi, delitti nuovi, egli indaga infatti sul «biciclo tra le cause della pazzia», e porta a esempio il caso di un figlio di «buoni operai» che, dopo un’infanzia trascorsa senza alcuna turba psichica, all’inizio della pubertà viene ossessionato da una «smania irrefrenabile di bicicli, e tutto il giorno, essendo povera la famiglia, medita i mezzi di rubarli». Ora, è noto che Jarry si rifiutò di pagare – essendo perennemente in bolletta – la bicicletta da corsa Clément Luxe 96 di cui andava orgoglioso e che un commerciante gli aveva incautamente venduto a credito.  In realtà, però, altri e più strani comportamenti dello scrittore francese, nonché il suo alcolismo, avrebbero indotto a una diversa diagnosi, più orientata a quella compenetrazione di genio e follia (esposta in un opuscolo del 1864 e poi ripetutamente rielaborata fino alle 700 pagine dell’Uomo di genio, del 1894) che  è uno dei temi principali del pensiero di Lombroso, il quale riprende una lunga tradizione (risale almeno al più celebre dei Problemi pseudo-aristotelici) rilanciando con successo la tesi che fa del genio uno squilibrato in senso proprio, cioè qualcuno che, essendo dotato di una sensibilità o un’immaginazione superiore alla media, in compenso dimostra una minore capacità di adattamento alla vita quotidiana o addirittura alla morale corrente.

Il caso Jarry sarebbe dunque ben più grave di una transitoria ebefrenia ciclistica, espressione che oggi fa sorridere, ma che vale a ricordare il tempo in cui è stata formulata, quando la bicicletta era una novità tecnologica entrata rapidamente nell’immaginario collettivo  (Jarry nel romanzo Supermaschio immagina  un’epica gara di 10.000 kilometri tra un treno espresso e un tandem a cinque; e lo stesso Lombroso ricorda che nel gergo della malavita si chiamava «bicicletta» la prostituta); ma soprattutto un’età in cui convivevano gli ultimi rappresentanti della cultura positivista e i precursori della cultura novecentesca.

Nel 1902 era già cominciata la fase calante della carriera di  Cesare Lombroso, medico, psichiatra, antropologo, criminologo, che nei precedenti trent’anni si era guadagnato una fama internazionale considerevole: il suo successo si spiega soltanto considerando come le sue dottrine costituiscano un caso esemplare di quella che lo storico ed epistemologo Georges Canguilhem  ha chiamato un’«ideologia scientifica», vale a dire un sistema di spiegazioni che non si oppone alla scienza (come la magia e la religione) e che anzi ne prende a prestito i concetti direttivi, estendendoli però abusivamente all’intera realtà e, con ciò stesso, abbandonando il rigore che caratterizza la ricerca propriamente scientifica.

Imitazione della scienza e tendenzialmente ostile alla religione, alla quale peraltro somiglia per l’aspirazione alla totalità, l’ideologia scientifica sta alla scienza come l’evoluzionismo filosofico di Herbert Spencer – che pretende di racchiudere sotto le stesse leggi evolutive universali la materia inorganica e quella organica, la psiche e la società – sta al modello evoluzionistico di Darwin.

L’evoluzionismo filosofico, espressione della società industriale in conflitto con la tradizione aristocratica da una parte e, dall’altra, con le rivendicazioni sociali, fu antiteologico e anti-rivoluzionario: questo il quadro storico e filosofico in cui lavorava Lombroso (simpatizzante per il socialismo moderato e riformista, ma fieramente ostile agli anarchici e ai comunardi). Diversamente da Spencer e da Darwin, che vivevano nella progredita Inghilterra vittoriana, egli si trovò tuttavia alle prese con i problemi dell’Italia post-unitaria, che cercava di adeguarsi culturalmente ai paesi europei più avanzati: nel 1861, per esempio,  Francesco de Sanctis, allora ministro, chiamò ad insegnare fisiologia a Torino il medico materialista olandese Jakob Moleschott, che Lombroso considerò un maestro e di cui tradusse La circolazione della vita.

Amante, fin da giovane, del collezionismo di reperti anatomici, Lombroso ebbe l’intuizione fondamentale del suo sistema quando, studiando il cranio di Giuseppe Villella, un brigante  calabrese, scoprì che presentava una «fossetta occipitale mediana» laddove, abitualmente, si trova invece una cresta. Questa anomalia suggerì al medico la tesi del delinquente nato: la pazzia è un fenomeno regressivo, una degenerazione della specie in cui riaffiorano i caratteri dell’uomo primitivo, simile agli animali (il cosiddetto «atavismo»). I fenomeni degenerativi, aveva spiegato Bénédict Morel formulando la prima organica teoria moderna della degenerazione, sono destinati a peggiorare di generazione in generazione, approdando alla sterilità, tesi sulla cui base ci sarà chi cercherà di dare una mano alla natura, segregando e sterilizzando i supposti degenerati. 

Dal canto suo, Lombroso – diventato direttore di manicomi e autorità sanitaria in varie carceri – forte di un’altra tradizione secolare – quella della fisiognomica, che postulava una sostanziale corrispondenza tra la conformazione fisica e la struttura psichica – si dedicò a una caccia sistematica delle alterazione anatomiche e fisiognomiche che costituiscono i segni della follia, veri e propri stigmi studiati e misurati con instancabile fede nel progresso scientifico. Ne derivò una collezione di reperti non soltanto anatomici (perché comprende anche fotografie, corpi di reato, disegni e oggetti prodotti dagli internati in carceri o in manicomi) arrivata a fino a noi e custodita nel Museo di Antropologia Criminale di Torino: raccolta preziosa, anche a dispetto della inaccettabilità delle supposizioni di Lombroso.

Sulla fragilità delle sue teorie, già bersaglio di critiche feroci da parte di Croce e Gentile, non occorre insistere: Foucault (non a caso allievo di Canguilhem) ha scandagliato da par suo e in modo assai più profondo del neoidealismo, l’intreccio che annoda inestricabilmente biologia, psicologia, diritto e politica. E tuttavia numerosi studi negli ultimi decenni hanno ricominciato a osservare il medico nel suo contesto storico, senza ovviamente pretendere di rivalutarne le dottrine, ma rifiutando di lasciarlo in quella sorta di sentina filosofica a cui l’aveva condannato la cultura storicistica: a supporto di questo rifiorire di studi, nell’impossibilità di riproporre i mastodontici volumi di Lombroso, già  nel 1995 era stata pubblicata da Bollati Boringhieri – a cura di Delia Frigessi, Ferruccio Giacanelli e Luisa Mangoni – la silloge Delitto, genio, follia.

E in questi giorni esce per i Millenni Einaudi un’antologia di testi, L’amore nei pazzi e altri scritti (a cura di Alberto Cavaglion e con un saggio di Silvano Montaldo, pp. 720, € 85,00) che illustra felicemente la straordinaria varietà di interessi di Lombroso, puntando soprattutto su una sua certa vena narrativa, che traduce la fiducia positivista nel dato in centinaia di aneddoti, proposti al lettore accompagnati da tabelle statistiche (quanti suicidi fra i pazzi? o quanti epilettici? e così via). Con il prestigio dei numeri si sanciva la credibilità e l’autorevolezza delle diagnosi. Altri aspetti del lavoro di Lombroso – dalle indagini sui gerghi o sui tatuaggi dei carcerati alle analisi grafologiche – sono pure documentati, insieme ai tardi interessi per la metapsicologia e per lo spiritismo.

L’interesse per questi argomenti non meraviglia in un cattolico, seppur eterodosso, come Antonio Fogazzaro,  ma sorprende in un ateo e materialista come Lombroso, da sempre convinto che «ogni forza è proprietà della materia e l’anima un’emanazione del cervello»; e dunque anche questa curiosità fa parte della fiducia positivistica nella capacità della scienza di spiegare fenomeni apparentemente trascendenti. Non a caso nel 1882 fu fondata a Londra la Society for Psychical Research, ancor oggi esistente, dedicata  a denunciare gli esempi di falso medium, ma anche ad indagare seriamente sul paranormale: ne fu primo presidente il noto filosofo utilitarista Henry Sidgdwick, e gli succedettero,  tra gli altri, il pragmatista William James e Henri Bergson, e ancora antichisti di fama come Gilbert Murray e Eric Dodds.

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