«Il nostro approccio è stato quello di cercare di scavare un buco nelle Pitture nere di Goya per vedere cosa c’era dietro». Spiega così il suo docufilm sull’enigmatico artista spagnolo il regista José Luis López-Linares, già autore di Bosch. Il giardino dei sogni. Presentato all’ultimo festival di Cannes, arriva ora nelle sale italiane L’ombra di Goya, il 6, 7 e 8 marzo nella cornice del progetto originale di Nexo digital «La Grande Arte al Cinema» (poi, ai primi di aprile, sarà la volta di Perugino, di cui ricorrono i cinquecento anni dalla morte e in omaggio alla mostra appena inauguratasi presso la Galleria nazionale di Perugia). Ma il film che racconta gli anni in cui visse Goya (1746-1828) attraverso i suoi colori luminosi o le brume psichiche, le sue riflessioni vivide e i suoi tormenti fisici, è anche un romanzo visivo corale in cui si riannodano i fili tessuti dalla Storia, partendo dall’illuminismo per approdare a sogni e incubi surrealisti. A fare da tramite e a ripercorre le orme di quell’itinerario un po’ esoterico è un testimone d’eccezione, scomparso nel 2021: Jean Claude Carrière, lo sceneggiatore, amico e collaboratore di Buñuel, che ha anche scritto il film insieme a Cristina Otero Roth. È lui infatti a camminare fra le opere di Goya cercando di decifrarne le emozioni e gli abissi neri, mettendogli spesso vicino il «fantasma» di Buñuel, entrambi aragonesi e con problemi di sordità, capaci di virare verso l’onirico pur osservando minuziosamente la realtà contraddittoria del loro tempo. Sono diversi gli specialisti che si soffermano a tentare di interpretare i cieli tersi e le feste paesane di Goya così come le raccapriccianti scene cui ci ha abituati il pittore e incisore (nonché meraviglioso disegnatore): fra di loro, oltre a Carlos Saura e Julian Schnabel troviamo un otorinolaringoiatra, un astrofisico e una storica che spiega come fosse stato proprio questo artista a sdoganare esteticamente la corrida, attirando critiche su di sé, ma eleggendola a momento di brutale verità fra vita e morte (ritrae quasi sempre quella dei toreri o del pubblico).

Carrière passeggia nei luoghi simbolo di Goya, dal Prado alle stanze del Palazzo della duchessa d’Alba. Si interroga – e interroga lo spettatore – sui temi universali dell’umanità che scorrono nelle tele dipinte così magnificamente: il grottesco lato del potere, l’assurdità del male (e la sua «banalità»), i rivolgimenti rivoluzionari che reinventano gli individui e le loro posture nel mondo, la forza comunitaria della gente in povertà, fino a quella fucilazione di patrioti spagnoli (3 maggio 1808) nel suo quadro più cinematografico perché accoglie in sé la durata del tempo fra presente e futuro – la morte avvenuta, la paura e l’attesa della morte successiva.