Si va al Teatro Comunale con la consapevolezza che per un po’ di tempo sarà l’ultima volta. La splendida architettura progettata da Antonio Galli da Bibiena a metà del Settecento ha bisogno di cure e resterà chiusa per almeno tre anni. Ed è però una bella coincidenza che questo provvisorio ultimo atto tocchi a un nuovo allestimento del Lohengrin, anch’esso rimesso un po’ a nuovo dalla regia di Luigi De Angelis. Era stato, quello bolognese, il primo teatro in Italia a rappresentare un’opera di Richard Wagner, nel 1871, e proprio di Lohengrin si trattava, a fondare così il solido legame elettivo fra la città emiliana e il compositore tedesco, con tutta la mitologia che si tira dietro – Verdi che regna a Parma e ascolta l’opera nascosto in un palco del secondo ordine prendendo appunti…

TOLTE quelle dispute sulla musica dell’avvenire che ormai appartengono all’archeologia della storia musicale, quel che resta di Lohengrin è una giovinezza che sa ancora di romanticismo e per questa via si affaccia a un mondo magico o demoniaco. Qui però dal substrato mitologico è sparito qualsivoglia cascame gotico o medioevale, al pari di ogni sospetto ideologico. E lo sa bene il direttore Asher Fisch, che con Wagner ha una lunga consuetudine, al San Carlo di Napoli aveva diretto il Parsifal. «L’ho fatto da ebreo israeliano, ha dichiarato. Potete ben immaginare cosa pensi di chi chiede di vietare la musica russa».

SI INIZIA da un’aula di tribunale immersa in una penombra che lentamente si rischiara, mentre si ascolta il folgorante preludio dell’opera, con quel pianissimo che già aveva entusiasmato il pubblico del 1871. Una figura si aggira lì dentro, come a esplorare il luogo. Che poi ci si rivela essere lo stesso compositore, Richard Wagner, il basco calato di traverso sul capo non lascia dubbi. Quando i banchi si riempiono di uomini in divisa militare, più o meno della metà del secolo scorso, anche la scena si fa più leggibile. È l’aula di Norimberga dove gli autori di Hiroshima processarono gli autori di Auschwitz. C’è stata una guerra, un’altra se ne prepara, bisogna armarsi. Funziona così. Intanto gli uomini di guerra sulla divisa hanno indossato la toga. Siamo dunque a un primo livello di lettura, dove la drammaturgia curata da Chiara Lagani sembra estrarre da un contesto realistico un Leitmotiv della storia tedesca. Davanti al re tedesco, il conte di Telramund ha mosso alla giovane Elsa di Brabante l’accusa di aver soppresso il fratello, erede al trono del ducato. Ora si dice disposto ad affrontare il giudizio di Dio.

MA ECCO che sul bosco di betulle proiettato sul fondo appare un grande cigno e sulla scena avanza un misterioso cavaliere in abito bianco e con un corno d’oro al fianco. Come bianca è del resto la veste della giovane donna che è venuto a difendere dalla falsa accusa. E la vicenda, e con essa lo spettacolo, prende una piega decisamente onirica. Non a caso De Angelis prende a prestito quel che scrive la moglie Cosima nel suo I sogni di Richard, che aveva sognato appunto di comparire davanti a un tribunale. Misterioso è il cavaliere perché ha imposto a Elsa il giuramento di non chiedergli mai il suo nome e da dove venga. Solo così potrà amarla. Ma proprio questo mistero, questo non poter sapere, sarà il veleno iniettato da Ortrud, la «terribile donna» che guida le mosse del debole Telramund, per spingere Elsa a venir meno al giuramento – come si fa ad amare uno che non sai chi è? Non ci sarà di mezzo un qualche malefico incantesimo? Un po’ Lady Macbeth, un po’ strenua difesa delle vecchie divinità nordiche di fronte a quella allucinazione collettiva di cigni che escono dall’acqua, candide colombe che si posano sul capo e candide vesti che d’improvviso diventano fluorescenti e croci luminose che calano dall’alto. C’è persino un’enorme spada che vien fuori a sbalzo da una parete e lentamente cala verso terra. Le andrà male, si sa, e forse anche per questo viene da stare un po’ dalla sua parte. (Daniel Kirch e Anna-Louise Cole che si alternano a Vincent Wolfsteiner e Martina Welschenbach, come Olafur Sigurdarson e Anna Maria Chiuri fanno con Lucio Gallo e Ricarda Merbeth, sono nelle diverse serate i convincenti interpreti delle due coppie in lotta mortale).
Lui intanto, Wagner, osserva dalla barcaccia come procede la sua opera, prima di trasferirsi di nuovo sul palco per l’ultima apparizione. Dove sono tornati quei banchi da aula giudiziaria, dove si affolla un coro ormai meno marziale. Il rito del giudizio si è svuotato di senso. Dopo aver dato a Telramund una morte simbolica, davanti a quel consesso Lohengrin svelerà di essere inviato del Graal e figlio di quel Parsifal che a teatro deve ancora nascere. Ma ormai la strada di Wagner è segnata.