ExtraTerrestre

L’Oceano respira per darci la vita

Intervista Mariasole Bianco, biologa marina e presidente dell’associazione «Worldrise», sottolinea l’urgenza di tutelare un legame indissolubile: la nostra esistenza dipende dal mare, e l’esistenza del mare dipende da noi

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 6 giugno 2019

«Non c’è che una vita sulla Terra, vegetale, animale, umana, che nasce, ride, piange, soffre, muore» – così scrisse Albert Einstein.
E uno è l’Oceano, «insieme di spazi marini che copre il 71% della superficie terrestre, ospita l’80% delle specie viventi ed è la linfa vitale del pianeta», spiega la biologa marina Mariasole Bianco, presidente dell’associazione Worldrise, che sviluppa progetti di conservazione e valorizzazione dell’ambiente marino. In occasione della Giornata mondiale degli oceani (8 giugno), l’esperta sottolinea l’urgenza: il nostro stesso esistere dipende dal mare, ma il futuro del mare dipende da noi.

Il rapporto del Wwf «Reviving the Ocean Economy» dice che il «prodotto marino lordo» annuo dei mari ammonta ad almeno 2.500 miliardi di dollari.

Se l’oceano fosse un paese, avrebbe la settima economia più grande del mondo. E’ fonte di cibo, energia, salute e lavoro. Pesca, acquacoltura, raccolta e coltivazione delle alghe, produzione di energia, commercio, trasporti, turismo. La pur piccola percentuale finora esplorata – poco più del 5% degli oceani – ha regalato all’umanità moltissime sostanze e principi attivi importanti che oggi vengono utilizzati sia in medicina che nell’industria. Ma è incalcolabile l’importantissimo ruolo svolto a beneficio del clima.

Secondo uno studio pubblicato da «Science», solo fra il 1994 e il 2007 gli oceani hanno assorbito dall’atmosfera il 31% del carbonio totale prodotto dalle attività umane. Un gigantesco polmone azzurro, dunque?

Certamente. Le correnti oceaniche distribuiscono il calore del sole fra i tropici e i poli. Gli spazi marini producono il 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbono un terzo dell’anidride carbonica che emettiamo. Sono di gran lunga il più importante pozzo di carbonio del mondo. Dall’inizio dell’era industriale, hanno assorbito il 93% del calore in eccesso trattenuto in atmosfera dai gas serra. Altrimenti, la temperatura dell’aria oggi sarebbe di 36 gradi superiore. Prendiamo il servizio ecosistemico offerto dalle mangrovie, ambienti marini e forestali al tempo stesso; fissano il carbonio (circa 8 chili per metro quadrato) rimuovendolo dall’atmosfera, quindi la loro distruzione per cause antropiche reca gravi danni. Nel Mare Nostrum abbiamo la Posidonia oceanica, pianta marina minacciata: per unità di superficie è in grado di assorbire più del doppio dell’anidride carbonica rispetto alla foresta amazzonica.

Oltre all’innalzamento del livello dei mari, quale impatto hanno i cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini?

Il mare si sta surriscaldando a una velocità elevatissima e abbiamo registrato un aumento delle temperature oltre i 2000 metri di profondità. L’altro elemento molto preoccupante riguarda l’acidificazione degli oceani, che deriva proprio dalla loro capacità di assorbire anidride carbonica; in mare, questa si trasforma in acido carbonico, con conseguenze pesanti su diversi animali, dai coralli alle ostriche. E poi la deossigenazione delle acque.

Quali scenari si possono ipotizzare?

Le concentrazioni di ossigeno nell’oceano stanno lentamente diminuendo e si profila la possibilità – sia pure nell’arco di millenni – che si inneschi un nuovo grande evento anossico, ossia una diffusa carenza di ossigeno tale da impedire la vita alla stragrande maggioranza degli organismi. Secondo Science, i tempi necessari per la ripresa sarebbero lunghissimi. A differenza dell’atmosfera, gli oceani non sono mai stati particolarmente ricchi di ossigeno e più volte nel lontano passato hanno sofferto di eventi di questo tipo, provocando grandi estinzioni di massa, come quella avvenuta a cavallo fra il Permiano e il Triassico. Tuttavia, quelle antiche catastrofi marine furono causate in gran parte da lunghi periodi di intenso vulcanismo che fertilizzarono le acque portandovi ingenti quantitativi di fosforo e innescando immense fioriture di fitoplancton, tali da consumare quasi tutto l’ossigeno disponibile. L’eutrofizzazione alla quale assistiamo oggi è invece dovuta in primo luogo all’attività umana: dall’inizio della rivoluzione industriale, i cambiamenti di uso dei suoli, i fertilizzanti, gli scarichi agricoli e fognari hanno più che raddoppiato la quantità di fosforo e di altri nutrienti che entrano nel mare portati dai fiumi.

Il tour MaydaySosPlastica della nave di Greenpeace e Castalia diffonde immagini scioccanti sui fiumi, diventati veri e propri nastri trasportatori di prodotti usa e getta verso il mare, discarica del pianeta.

La nostra società è arrivata a un punto tale che lo sforzo necessario per estrarre il petrolio dalla terra, trasportarlo via mare verso una raffineria, trasformarlo in plastica, ritrasformarlo nella forma che vogliamo dargli, per esempio un cucchiaio di plastica, trasportarlo verso il supermercato, comprarlo per pochi centesimi, portarlo a casa per utilizzarlo una sola volta e poi gettarlo via è considerato uno sforzo minore rispetto all’utilizzare un cucchiaio da cucina e poi semplicemente lavarlo. Dei 300 milioni di tonnellate di plastica prodotti annualmente, 8 milioni finiscono nell’oceano, a formare una mortale «zuppa».

Sappiamo davvero come risolvere, a tutti i livelli, i problemi degli oceani?

E’ un momento cruciale della storia del nostro pianeta. Le decisioni che prenderemo nei prossimi 10 anni definiranno il corso degli eventi nei successivi 10.000. Tutto quello che occorre è la volontà di farlo e al più presto. Il nuovo progetto di Worldrise, «Il mare inizia da qui», contempla varie iniziative. Il cambiamento parte dalle nostre scelte individuali di cittadini e consumatori responsabili, per arrivare a coinvolgere le istituzioni e le stesse imprese. Vanno attuate le «5 Erre»: ridurre, riutilizzare, raccontare il problema, raccogliere, riciclare. Un ruolo fondamentale per il ripristino della salute dei nostri oceani e l’uso sostenibile delle loro risorse viene dai governi, per esempio attraverso l’istituzione delle Aree marine protette. L’Italia vanta un patrimonio naturalistico straordinario; se solo riuscissimo a valorizzare quello che siamo così fortunati da possedere, e che è così legato alla nostra identità culturale, l’economia stessa se ne gioverebbe grandemente. Sono anche utili gli strumenti tecnologici. Il progetto Global Fishing Watch nasce da una collaborazione tra Google, Oceana e Sky Truth. Questa piattaforma dovrebbe aiutare a porre fine alla pesca illegale seguendo i movimenti dei pescherecci di tutto il mondo in tempo reale.

C’è una specie di animali marini minacciati che le è rimasta impressa?

Il dugongo, grande mammifero erbivoro. Con il lamantino, appartiene all’ordine Sirenia. Ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo sia nel Mar Rosso che in Australia. Mi hanno completamente affascinata queste meravigliose, lente, solitarie creature che trasmettono pace. La distruzione delle praterie di piante marine sui fondali mette a repentaglio la loro sopravvivenza.

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